In disparte, con le mani dietro la schiena e la testa rivolta verso una colonna, c’è uno dei suoi compagni di scuola.
“Padre, che ci fa Akhon lì?” chiede Baki sottovoce.
“Quello là è peggio di un’oca del deserto! Non ha fatto i compiti e per giunta ha dimenticato i fogli di papiro a casa. Oggi se ne starà tutto il tempo in punizione”, risponde il padre a voce alta, assicurandosi che tutti lo sentano.
La lezione sui geroglifici prosegue senza intoppi per tutta la mattinata e anche oltre. Intanto, Kebi stufa di strimpellare l’arpa, che odia profondamente, si allontana dal tempio e comincia a gironzolare nei dintorni senza una meta precisa.
Mentre cammina, rimuginando nella sua testa, sente qualcosa strusciarsi contro la pelle delle gambe. È Mau, il suo gatto!
“Ehi, sei qui! Non ti piacciono i geroglifici, vero?”.
La bambina e il gatto continuano a camminare lungo il fiume fino a quando non si imbattono in un gruppo di ragazzini che gioca all’aria aperta. Da una parte ci sono delle bambine che, sedute sull’erba, si fingono mamme di bambole di argilla, dall’altra dei bambini giocano con una palla fatta di stracci. Più in là, un gruppo di ragazze più grandi si esercita nella danza guidate dal suono magico del flauto.
Kebi non resiste. Afferra Mau per le zampe anteriori e comincia a volteggiare su se stessa, mentre il gatto la guarda atterrito.
“La-la-la-la-la-la!!! Che bello danzare, vero Mau? Non vedo l’ora di essere grande così anch’io potrò partecipare alla feste e scatenarmi nel ballo!”.
Kebi è così felice di ballare che si dimentica del tempo che scorre e di suo fratello.
Poi, all’improvviso, sente qualcuno gridare il suo nome.
“Kebiiii!!!! Kebi dove sei? È tardi, dobbiamo tornare a casa? Kebiiiii!!!”.
“Sono qua Baki, vieni!”
“Ma che stai facendo? Sei tutta sudata!!!”
“Oh che bel pomeriggio! Ho ballato ballato ballato tutto il tempo!”, esclama la bambina prima di gettarsi esausta sull’erba. Mau, finalmente libero, salta tra le braccia di Baki. Ora è al sicuro.
“Tirati su, forza, dobbiamo andare”, la incita Baki.
“No, dai, ancora un pochino. Sono stanca, non ce la faccio a camminare….”.
Alla fine, dopo tante insistenze, Baki acconsente ad una piccola pausa. In fondo, ha proprio voglia di tirare due calci ad una palla dopo tante ore di studio! Poi, quando è stanco, si siede anche lui sull’erba, tira fuori dalla bisaccia la scacchiera del senet e si mette a giocare con sua sorella, sotto l’occhio vigile di Mau.
Quando è quasi ora del tramonto, i due bambini si rimettono in cammino verso casa.
Lungo il tragitto i due si raccontano come hanno trascorso la giornata. Baki si vanta di essere stato il più bravo nel dettato. Kebi invece non la smette più di ripetere che da grande vuole ballare e solo ballare. Niente marito e figli, solo danzare ovunque sia possibile.
Intanto, il sole è quasi del tutto tramontato e l’aria ora è più frizzante. Un signore, con una lunga tunica e un rotolo di papiro in mano, guarda verso il cielo e ripete parole incomprensibili. Accanto a lui, un secondo signore più giovane regge con entrambe le mani uno strano strumento.
“Avete bisogno di aiuto, signori?”, chiede Baki.
“Eh, come? No, ragazzino, solo gli astri possono aiutarci”.
Baki e Kebi li osservano con aria interrogativa.
“Cosa state facendo?”, domanda Kebi.
“Aspettiamo che diventi buio per osservare le stelle e correggere i nostri calcoli. Siamo astronomi noi!”.
“Astro- che?” chiede Kebi.
“A-S-T-R-O-N-O-M-I ragazzina. Studiamo le stelle”, dice il signore più giovane.
“Ahhhhhh… ecco”.
“E cosa dicono le stelle?” aggiunge Baki.
“Eh tante cose, ad esempio sull’origine dell’universo, sul perché siamo qui e da dove siamo venuti, sul sole che gira e la terra che sta ferma. E poi interrogare gli astri aiuta a capire quanto manca alla prossima inondazione del Nilo”.
“Secondo me sono un po’ matti”, sussurra in un orecchio Kebi a suo fratello.
“Credo tu abbia ragione. Andiamo, ho fame e le stelle non bastano a riempire la pancia”.
Baki e Kebi si allontanano a passo svelto, lasciando i due astronomi solo con i loro discorsi incomprensibili sulle stelle.
Sul vialetto di casa, i fratelli più piccoli corrono loro incontro.
“Presto, è ora di cena!!! Abbiamo fame!”, ripetono in coro.
Dentro è tutto apparecchiato. Il padre e la madre sono già seduti davanti ad un tavolino. I bambini prendono posto ciascuno su un cuscino e guardano con occhi voraci i vassoi di pietanze che i servi portano dalla cucina. Lenticchie, farro, cipolle, pesce e frutta di tutti i tipi. E tanta birra per accompagnare le portate.
“Io odio il pesce, non lo mangio! E poi ha un bruttissimo sapore!” sbuffa Baki
““Tieni, bevi un po’ di birra!” gli fa eco Kebi, passandogli un bicchiere.
Senza farsi scoprire dai suoi genitori, Baki lancia pezzi di pesce a Mau che, ovviamente, accetta tutto con grande piacere.
La giornata si conclude così, tra risa, chiacchiere, capricci, battute scherzose e sguardi amorevoli.
In fondo, la vita di Kebi e Baki non è poi tanto diversa dalla nostra, vero bambini?
Mi chiamo Giovanna e vivo in Puglia. Ho sempre avuto le idee molto chiare: a 8 anni sapevo già che avrei fatto l’archeologa. Per anni mi sono divisa tra gli scavi e montagne di mattoni, tegole e coppi. Chissà, forse sono fatta un po’ di argilla…
Poi, ho capito che dovevo raccontare l’archeologia ai bambini e dare un senso, una prospettiva al mio lavoro. E allora ho scoperto una cosa fondamentale: le storie sono l’unica cosa che ci lega al passato e al futuro e che nessuno potrà mai portarci via.
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