Uno dei luoghi più amati e frequentati dai Romani erano le terme. Di complessi termali – grandi e piccoli, pubblici e privati – ce n’erano dappertutto, a Roma e nel resto dell’Impero. Pensate che intorno al 30 avanti Cristo nella sola città di Roma si contavano 170 terme e fino al IV secolo dopo Cristo aumentarono fino a diventare 1000.
Le frequentavano tutti, ricchi e poveri, anche perché molto spesso l’ingresso era gratis e ieri come oggi, quando non si deve pagare nulla, c’è sempre la fila! Non si andava alle terme solo per motivi di igiene (i romani, soprattutto quelli più disagiati, non avevano a casa un bagno in cui lavarsi) o per praticare sport, ma anche per incontrare un amico, discutere di affari e di politica, ascoltare musica o leggere un libro, persino per mangiare.
Se dovessimo fare un paragone con il mondo odierno, potremmo dire che le terme romane erano a metà strada un centro estetico e un bar oppure tra una spa e un centro ricreativo. Erano uno dei luoghi a più alta densità umana, affollati di uomini e donne proprio come le piazze. Provate ad immaginare che confusione doveva esserci e poi voci, suoni, scrosci d’acqua, grida… davvero un gran baccano!
La prima sensazione da cui era colto chi frequentava le terme era quella di calore, un caldo talmente umido e insopportabile da costringerti a toglierti i vestiti. Era lo spogliatoio (detto apodyterium), infatti, il primo ambiente posto all’ingresso di ogni complesso termale. Qui uomini e donne – anche se molto spesso frequentavano le terme in orari distinti per motivi di riservatezza – riponevano i propri abiti in appositi armadietti in legno o in nicchie ricavate nelle pareti.
A quel punto, erano pronti per iniziare il percorso rilassante!
Ma da dove proveniva tutto quel calore? Chiaramente all’epoca non esistevano i termosifoni o le stufe, ma i Romani, che erano molto ingegnosi, avevano escogitato un sistema di riscaldamento eccellente e per di più nascosto. Innanzitutto, sul retro di ogni struttura, vi era un enorme focolare (praefurnium), una grande apertura ricavata nel muro e collegata ad uno stretto canale entro cui un inserviente (il fornacator) inseriva a ritmo continuo il combustibile, generalmente legna, utilizzando la pece o la paglia per accendere il fuoco. Proprio sopra questo focolare erano collocate delle enormi cisterne piene d’acqua. Il calore sprigionato dal fuoco non serviva solo a riscaldare l’acqua, ma si diffondeva in ogni singolo ambiente, propagandosi al di sotto dei pavimenti. Sì avete capito bene: i pavimenti delle sale riscaldate erano sospesi, cioè retti da colonnine in mattoni quadrati o circolari, per consentire all’aria calda e tiepida di circolare più facilmente. E per accrescere il tepore venivano collocate delle tubature a sezione rettangolare anche in delle intercapedini create all’interno delle pareti; in questo modo l’aria calda si spandeva in ogni dove sia in orizzontale che in verticale.
Geniale vero? Pavimenti e pareti erano poi rivestiti con mosaici colorati o lastre marmoree, spesso in maniera anche molto ricercata e senza badare a spese. I Romani amavano il lusso!
Ma torniamo al nostro frequentatore abituale delle terme. Dopo essersi svestito, abbandonava lo spogliatoio e si recava nella sala fredda, il frigidarium, dove poteva tuffarsi e fare un bel bagno in piscina. Quello che ci voleva per temprare il corpo e la mente! Successivamente si spostava prima, per evitare improvvisi sbalzi di temperatura, negli ambienti tiepidi (i tepidaria) e poi in quelli caldi (i calidaria), che erano delle vere e proprie saune.
Il percorso a quel punto era concluso, ma se il cittadino romano non era del tutto soddisfatto o non aveva alcuna fretta di tornarsene a casa poteva rifarlo al contrario, o spostarsi in altri ambienti dove farsi massaggiare la pelle con olio di mandorla o ancora raggiungere la palestra e dedicarsi all’esercizio fisico. I Romani, a dirla tutta, non erano così sportivi come i Greci; amavano l’ozio più che il movimento. Ma dopo un bel bagno o massaggio capitava spesso che a qualcuno venisse voglia di fare un po’ di ginnastica, giocare a palla o gareggiare nella lotta corpo a corpo.
Per i più oziosi, c’era la possibilità di leggere un libro in biblioteca o ascoltare musica e recitar versi nel teatro o mangiare qualcosa, o più semplicemente starsene stesi o seduti con i piedi ammollo a discutere del più e del meno.
Tutta l’acqua necessaria per il corretto funzionamento delle terme era garantita dai grandi acquedotti presenti a Roma e nel resto dell’Impero e sul cui funzionamento vi parlerò magari un’altra volta.
A Roma, come già detto, vi erano centinaia di complessi termali, molti dei quali furono fatti costruire dai più importanti imperatori, come ad esempio le terme di Caracalla – edificate dall’imperatore omonimo tra il 212 e il 217 dopo Cristo – e quelle grandiose di Diocleziano, di IV secolo. Pensate che erano in grado di accogliere fino a 3000 persone contemporaneamente!
Ma terme c’erano un po’ in tutte le città romane, come Pompei, e spesso anche all’interno delle residenze degli aristocratici romani, come le terme annesse alla villa di Faragola, ad Ascoli Satriano, in Puglia.
Le terme erano molto amate dai Romani perché essi erano ben consapevoli delle proprietà terapeutiche dell’acqua, riconosciute dagli stessi medici dell’epoca.
La cosa non ci sorprende poi tanto, se pensiamo che ancora oggi le terme sono non soltanto dei centri benessere ma anche dei luoghi di cura frequentati d’estate soprattutto dagli anziani. E ce ne sono alcune famose in tutto il mondo che attraggono un gran numero di turisti, come quelle di Langenfeld in Austria o di Cagaloglu Hamami in Turchia o di Budapest o le splendide terme di Fonteverde in Val D’Orcia.
Vi ho fatto venire sufficiente voglia di andare alle terme? Nessun problema. Chiudetevi in bagno, riempite la vasca di acqua calda, spargetevi dentro dei sali, accendete una candela profumata e mettete su un bel disco. Ora immergetevi nell’acqua e dimenticatevi di ogni cosa, godetevi il momento. Carpe diem!, come diceva il poeta latino Orazio.
Lo so, non è la stessa cosa ma è un buon inizio.
Mi chiamo Giovanna e vivo in Puglia. Ho sempre avuto le idee molto chiare: a 8 anni sapevo già che avrei fatto l’archeologa. Per anni mi sono divisa tra gli scavi e montagne di mattoni, tegole e coppi. Chissà, forse sono fatta un po’ di argilla…
Poi, ho capito che dovevo raccontare l’archeologia ai bambini e dare un senso, una prospettiva al mio lavoro. E allora ho scoperto una cosa fondamentale: le storie sono l’unica cosa che ci lega al passato e al futuro e che nessuno potrà mai portarci via.
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