C’erano una volta un faraone e una regina che, nonostante le continue preghiere e offerte agli dèi, non riuscivano ad avere figli. Un bel giorno però la loro richiesta venne esaudita e dopo qualche tempo la regina diede alla luce un bel maschietto. Sembrava che nulla potesse più offuscare la loro felicità, ma non fu così.
Le sette Hathor, le dee interpellate per conoscere il destino del bambino, predissero che una maledizione pendeva sulla sua testa e che presto o tardi sarebbe morto per mano di un coccodrillo, di un serpente o di un cane. Come impedire che una siffatta maledizione potesse compiersi?
La storia del principe predestinato è raccontata in un papiro – detto Harris 500 – risalente alla XIX dinastia (all’incirca al XIII secolo a.C.) e conservato presso il British Museum di Londra.
Il principe non ha un nome e la sua storia non è inquadrabile in un preciso contesto storico e geografico. È un racconto di fantasia, una fiaba tramandata per secoli oralmente e all’occorrenza modificata, arricchita, stravolta dal cantore di turno.
Il papiro, purtroppo, è assai danneggiato e mutilo nella parte inferiore e chi l’ha decifrato e studiato non è riuscito a ricostruire il finale della storia. Rimane, ciò nonostante, un documento di grande valore, sia perché assai antico e sia perché anticipa molti tòpoi ricorrenti in quello che è l’immaginario fiabesco delle epoche avvenire, come ad esempio la maledizione delle fate cattive alla nascita di un bambino (nella fiaba di Rosaspina dei fratelli Grimm, ad esempio) e i tentativi vani di sfuggirvi.
La fiaba del principe è ora riproposta nel libro illustrato di Viviane Koenig e Sarah Loulendo, Il principe d’Egitto, Lapis Editore. L’adattamento è fedele all’originale, ma arricchito da un finale a sorpresa ispirato alle storie tradizionali dell’antico Egitto.
Dopo il funesto responso delle sette Hathor, il faraone e la regina decidono di proteggere il loro bambino mandandolo ad abitare in un enorme palazzo costruito in mezzo al deserto. Qui il principe cresce circondato da una stuolo di servitori e assistito fedelmente dal suo maestro. Ma con gli anni, la sua solitudine aumenta e a nulla serve ad alleviarla la compagnia di un cane che, pur tra mille titubanze, suo padre gli concede.
In fondo – pensa il principe – se è destino che debba morire niente e nessuno potranno impedire che ciò avvenga, in qualsiasi posto si trovi. Ed è per questo che, nonostante la maledizione, decide di partire per assaporare il piacere della libertà.
Il suo viaggio s’interrompe in un regno lontano dove, sfidando altri pretendenti, riesce a raggiungere la finestra di un’alta torre in cui è rinchiusa una principessa, conquistando così di diritto la sua mano. L’amore della donna ha un ruolo cruciale nella storia: è solo grazie alle cure amorevoli e attente e alla dedizione incondizionata di sua moglie se il principe riesce a sfuggire al primo dei tre funesti presagi, il morso del serpente, ed è sempre grazie alla sua presenza se ad un certo punto il suo destino di uomo votato alla morte non si compie fino in fondo.
L’amore è uno dei temi centrali in questa fiaba antica, non solo l’amore tra un uomo e una donna, ma anche quello per la vita, lo stesso che spinge il principe a sfidare le maledizioni e ad abbandonare la solitudine del palazzo per esplorare il mondo attorno a sé. L’amore e l’attaccamento alla vita sono tali da contrastare persino la forza del destino, quell’energia divina che irrompe nell’esistenza di ciascun uomo e ne stravolge il corso ordinario.
“Io sono il tuo destino!”, ringhia più volte il levriero del principe, quasi un’entità oscura si fosse impadronita dell’animale e l’avesse costretto a trasformarsi da cane fedele e ossequioso in un essere portatore di morte.
Ma la risoluzione positiva degli eventi non è soltanto quel lieto fine che è naturale aspettarsi alla fine di una fiaba – “e vissero tutti felici e contenti” – e che tanto piace ai bambini, semmai è la prova che a volte l’uomo può opporsi al volere divino e riuscire, con la forza genuina dei sentimenti, a trasformare in opportunità e occasioni di rinascita quelle che appaiono come avverse fatalità.
Qualche giorno fa ho letto questa fiaba alla mia nipotina di cinque anni. Dopo una prima lettura, ha voluto che glie la rileggessi una seconda e una terza volta. Ad ogni lettura mi chiedeva di soffermarmi su un passaggio, di indugiare su una tavola, di spiegarle un dettaglio. Il rito della lettura – che per i bambini è importante si ripeta ogni volta sempre uguale a se stesso (stesso tono di voce, stesse espressioni, stesse pause) – in questo caso credo l’abbia aiutata a famigliarizzare con la ritualità delle fiabe e ad accostarsi ad una civiltà, quella dell’Egitto antico, che spesso desta meraviglia e curiosità nei piccoli lettori.
In questo libro il racconto dell’Egitto è affidato soprattutto alle illustrazioni, evocative di atmosfere e paesaggi propri della terra bagnata dal Nilo; senza di esse una fiaba simile la si sarebbe potuta ambientare ovunque. Le ampie campiture di colore, dalle tinte decise e brillanti, il rispetto delle proporzioni, la ricchezza dei particolari, la precisione del tratto richiamano alla mente le pitture delle tombe egizie, a riprova di una stretta aderenza alla tradizione sia nella riproposizione fedele, sia pur arricchita nel finale, del racconto, sia nel rispetto dei canoni della pittura egizia nell’elaborazione delle tavole.
Perché si raccontano fiabe ai bambini? Perché rappresentano uno dei più bei giochi che bambini e adulti possano giocare insieme. Un gioco che non ha bisogno di oggetti (giocattoli) o di spazi (il cortile, il bosco) per essere svolto. Si sta seduti. Si gioca con le parole, con la mente, con le immagini, con i sentimenti.
Così scriveva Gianni Rodari. E la fiaba del principe d’Egitto è un invito a mettersi seduti comodi e a lasciarsi trasportare dalle parole, dalle immagini e dai sentimenti indietro nel tempo, fin sulle sponde del fiume Nilo.
Il principe d'Egitto
Il giovane principe d'Egitto sogna di viaggiare e scoprire il mondo, ma su di lui incombono tre maledizioni. Una storia dove il coraggio, la lealtà e l'amore vero lottano contro un destino già segnato. Il fascino senza tempo dell'Antico Egitto in una fiaba di 3.000 anni fa. Età di lettura: da 8 anni.
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Mi chiamo Giovanna e vivo in Puglia. Ho sempre avuto le idee molto chiare: a 8 anni sapevo già che avrei fatto l’archeologa. Per anni mi sono divisa tra gli scavi e montagne di mattoni, tegole e coppi. Chissà, forse sono fatta un po’ di argilla…
Poi, ho capito che dovevo raccontare l’archeologia ai bambini e dare un senso, una prospettiva al mio lavoro. E allora ho scoperto una cosa fondamentale: le storie sono l’unica cosa che ci lega al passato e al futuro e che nessuno potrà mai portarci via.
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