Questa volta vorrei raccontarvi uno dei laboratori didattici che mi capita di svolgere più di frequente, a conti fatti è probabilmente l’attività più richiesta e gettonata dalla scuole: il mestiere dell’archeologo. Ora, come ogni professionista, di qualsiasi campo, si potrà facilmente immaginare, non è così semplice condensare il racconto di un percorso di studi, di un lavoro, di un’intera professione in poco meno di due ore.
Da cosa e come partire? Su quali elementi porre maggiormente l’attenzione? E quali tralasciare? Senza contare il fatto che i tuoi interlocutori sono dei bambini che inevitabilmente hanno una percezione assolutamente astratta delle tue attività, quindi ogni tua affermazione deve essere agganciata in qualche modo alle loro esperienze quotidiane.
Bene, questo è quello che capita a me.
Devo dire che quando vado a parlare del mio lavoro nelle scuole vengo sempre accolta come una super star; capisco che il mestiere dell’archeologo susciti un certo fascino in parte dettato dalla
spettacolarizzazione che suggeriscono certi media, in parte per i racconti preparatori dell’insegnante, ma quando entri e ti guardano tra l’incredulo e il sorpreso (chissà cosa si immaginano, cosa si aspettano ogni volta, forse un qualcosa a metà strada tra un essere mitologico e un animale raro in via di estinzione) non posso che ridacchiare dentro di me, sì mi diverto sempre molto.
Certo, io ci metto del mio per enfatizzare l’entrata in scena presentandomi con il look da cantiere: ultimo modello di pantalone rigorosamente largo e scolorito dal sole e dalla terra con tasche e taschine che nascondono pennelli, pennellini, guanti e cazzuola; scarponi antinfortunistici, larghi anche quelli ovviamente, perché comode taglie da donna si trovano raramente, pesanti e che non gratificano affatto la figura (ma che ti regalano quei preziosi
cinque centimetri in altezza) e felpa, che lo dico a fare, larga pure quella, tutto in folgoranti nuances marrone/verde.
Ecco di solito parto dal mio abbigliamento, sia per presentarmi che per rompere un po’ il ghiaccio. A quel punto scatta la domanda d’obbligo: “Bambini, ma sapete cosa fa l’archeologo?” I più impulsivi rispondono di getto: “É quello dei fossili” oppure “Ah, quello che scava i fossili”. Evidentemente le mie espressioni facciali sono ogni volta piuttosto eloquenti perché subito dopo inizia la discussione, agguerritissima direi, con quei compagni di classe che invece si sono presi più tempo per rispondere diversamente e in maniera più precisa. Mi sono comunque accorta che indipendentemente dalla scuola, dai bambini e dagli insegnanti questa storia che l’archeologo è
quello dei fossili emerge quasi tutte le volte, in realtà me lo aspetto proprio.
Quindi, dopo aver chiarito e ribadito che quello dei fossili è il paleontologo e non l’archeologo, passo ad un veloce giochino, una sorta di “indovina chi” che serve per consolidare il concetto:
“Se studio le ossa di dinosauro, chi sono? Il paleontologo o l’archeologo?”
“Se studio le ambre fossili, chi sono? Il paleontologo o l’archeologo?”
“Se studio un vaso antico, chi sono? Il paleontologo o l’archeologo?”
“Se studio le ossa di un uomo primitivo, chi sono? Il paleontologo o l’archeologo?” (No, se ve lo steste chiedendo i bambini non ci cascano…)
Una volta capito e definito che l’archeologo studia gli uomini del passato attraverso le tracce materiali che ci ha lasciato e che questi reperti l’archeologo li trova scavando, inizia il momento affascinante e atteso del racconto dello scavo archeologico.
Questa storia che si debbano trovare sotto terra le tracce di un lontano passato è dolcemente
intrigante per i bambini (veramente non solo per loro…), perché appena fai vedere loro una o due immagini di scavo vieni subissato di domande, intelligenti, veloci e continue. L’elemento
che più turba, che logicamente torna meno di tutta questa faccenda è il perché si scavi proprio lì. Voglio dire, come si fa a sapere che il punto giusto dove scavare sia proprio quello? C’è qualcuno che te lo suggerisce? Lo hai sempre saputo? Ci sono sempre stati gli scavi?
Ammetto che questo passaggio è per me piuttosto faticoso, perché i bambini vogliono essere convinti, vogliono delle dimostrazioni, non si fidano e basta, vogliono proprio capire. E allora bisogna spiegare come e dove si trovano quelle informazioni che ti suggeriscono la “X”, quali documenti, quali immagini e quali fotografie devi saper leggere per iniziare a scavare.
Ovviamente c’è sempre qualcuno che maliziosamente ti suggerisce di prendere quel coso che suona quando lo passi sopra la terra per capire dove trovare i reperti (!!!); ci sono volte che glisso sulla questione altre invece in cui prendo la palla al balzo per introdurre un concetto
fondamentale e cioè che la terra non è tutta uguale, ma è fatta di strati!
“Come è fatta di strati? Cosa significa?”
Impariamo a osservare. Vi sarete accorti, andando in giro, facendo una passeggiata in campagna che la terra non è tutta marrone allo stesso modo, ma è composta da colori e materiali diversi, no?!
Un occhio un po’ più attento si renderà conto che non solo non è tutta uguale, ma che è addirittura costituita da piccoli strati posti gli uni sugli altri.
Ognuno creato da un’azione. Per esempio, avete fatto caso che, soprattutto d’estate, quando piove molto o soffia un gran vento si deposita sopra le auto un sottile strato di polvere? Beh, quello è il risultato dell’azione dell’acqua e del vento.
Lo stesso principio si applica agli strati archeologici. Ogni strato è il risultato di un’azione compiuta dall’uomo o dalla natura, ognuno racconta una piccola parte di storia e, come un pezzo di puzzle, serve a definire un disegno più grande: la storia con la S maiuscola.
Quella descritta dagli strati archeologici è una storia scritta al contrario, in cui le cose, anzi gli strati, più vicini alla superficie sono quelli più recenti, mentre gli strati più profondi sono quelli più antichi.
Pensate a quando le vostre mamme vi dicono “vestiti a strati”, non è forse vero che gli indumenti messi per prima, come la canottiera, sono in un certo senso quelli più antichi perché sono quelli che sono con noi da più tempo, mentre il cappotto, che è quello indossato sopra a tutti gli altri vestiti è anche l’oggetto indossato per ultimo, quindi da meno tempo?!
Ecco, gli archeologi scavano la terra dallo strato più recente a quello più antico, uno alla volta, con pazienza e documentando tutte le operazioni di scavo. Questo è il motivo per il quale non si può prendere una ruspa per accelerare le operazioni, tanto meno si può usare quel coso che suona quando lo passi sopra la terra per arrivare subito al tesoro.
Capito? Vi è tutto chiaro? Bene, e allora: tutti a scavare ora!
Io e l’archeologia non ci siamo amate fin da subito. Quando da bambina incontrai un’archeologa, capii che passare ore sotto al sole piegati, sporchi di terra e sudati non poteva fare per me. Ma come nelle migliori storie, gli amori più grandi nascono da scontri all’apparenza definitivi.
Da circa sette anni mi occupo di didattica, mi diverte molto cercare i linguaggi adatti e creare le esperienze giuste per coinvolgere i bambini anche i più scettici come lo era la sottoscritta tanto tempo fa.
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