Sì, non doveva essere qualcosa di piacevole il viaggiare nel mondo antico. Ci riflettevo il giorno di Pasquetta mentre in macchina, con tutta calma e con ogni comodità, me ne stavo andando verso il mare.
Il tempo non era bello, ma io cercavo di ingannarlo e di aspettare che arrivasse il sole, percorrendo una via più lunga di quella necessaria: dal finestrino guardavo il paesaggio che cambiava davanti ai miei occhi velocemente, mentre tutto intorno si alternavano ora una fitta nebbia, poi due schizzi di pioggia, poi un raggio di sole…
Chissà se un viaggiatore di duemila anni fa avrebbe mai immaginato che un giorno sarebbe stato possibile percorrere in così poco tempo una grande distanza!
E stando comodamente seduti al calduccio o al fresco a seconda delle stagioni!
Si fa sempre un po’ fatica nel cercare di immergere i bambini ma anche i grandi nell’esperienza del viaggio nel mondo antico: niente auto, tempi dilatatissimi, condizioni scomode e anche più di un pericolo in agguato.
“Arrivammo a Ruvo stanchi morti per esserci sorbiti una strada interminabile malridotta dalla pioggia”, Orazio, Satire, I, V, 94-95, I secolo a.C.
Proprio così… e se oggi noi facciamo fatica a viaggiare con il brutto tempo perché chi guida deve stare concentrato e combattere contro i tergicristalli che puliscono a ritmo cadenzato il parabrezza dell’auto, figuriamoci che cosa poteva significare a quel tempo!
I più ricchi potevano starsene “comodi” all’interno di un carro coperto, ma non credo che avesse una buona tenuta all’acqua! Chi aveva un cavallo si bagnava comunque, ma almeno cercava di ridurre i tempi, galoppando verso la stazione di posta più vicina. Chi invece aveva un carretto tirato da un mulo, beh… doveva rassegnarsi a prendersela tutta la pioggia, sperando almeno in un bagno caldo all’arrivo. Se poi il nostro viaggiatore poteva contare solo sui suoi piedi… beh, altro che un bel raffreddore!
Ecco perché sappiamo che c’era anche una specie di tenuta da viaggio, cioè un abbigliamento adatto a chi si spostava a piedi: una tunica e un mantello di lana con il cappuccio per ripararsi dal freddo e dalla pioggia, o, se si viaggiava in estate, un cappello con una tesa larga per proteggersi dai raggi del sole. Per chi poteva permettersele, le calzature erano chiuse… ma non dovevano proprio avere niente in comune con le nostre comodissime scarpe da ginnastica o da trekking!
Insomma, quei poveri piedi dovevano adattarsi sia a pestare il fango delle strade in inverno, che le superfici calde e polverose dell’estate: ecco perché trovare in una stazione di posta un bagno dove potersi lavare era così importante!
E i bagagli? Gli oggetti personali e il denaro erano contenuti in una borsa da attaccare alla vita, un vero e proprio marsupio: era meglio non dare troppo nell’occhio perché non era per niente raro imbattersi in qualche individuo poco raccomandabile! Briganti e ladruncoli cercavano di darsi da fare sia lungo le strade che presso le stazioni di posta, dove qualcosa da rubare si trovava facilmente. Sappiamo sempre dai testi degli autori antichi che era consigliabile, se si poteva, portarsi sempre dietro un’arma come un pugnale, ma anche un semplice bastone che poteva allontanare qualche malintenzionato: ecco perché era importante che in queste strutture ci fossero anche delle stalle e dei magazzini dove mettere al sicuro per la notte il proprio carico di merci e il proprio cavallo!
Eh già… la notte. Oggi abbiamo i fari delle auto e l’illuminazione lungo le strade, ma a quel tempo quando tramontava il sole in un attimo diventava buio…ma buio vero!
“Si accendeva una torcia” direte voi. Certo! Sappiamo bene che i viaggiatori potevano appendere una lucerna al loro bastone… ma il fuoco dove lo trovavano? Come lo accendevano? Mica potevano togliere dalla tasca un accendino!
A volte il fuoco lo si portava dietro acceso, pensate un po’: perfino Oetzi aveva con sé un secchiello per la brace fatto di corteccia di betulla per conservare un po’ di fuoco da usare al bisogno!
Di notte, solitamente, si sostava da qualche parte: non era proprio consigliabile viaggiare con il buio!
I tempi del viaggio via terra nel mondo antico erano molto molto diversi dai nostri: poteva capitare che per percorrere una distanza che oggi a noi sembra breve potessero occorrere diversi giorni… come si impiegava questo tempo?
Le fonti ci dicono che i signori molto ricchi viaggiavano dentro le carruche, ovvero dei carri a quattro ruote che potevano anche essere coperti da un tendone, forse di pelle, con delle finestrelle… una specie di antenato della carrozza, insomma!
Dentro a queste carruche non solo si poteva viaggiare protetti dalle intemperie e anche dai curiosi che percorrevano la stessa strada, ma addirittura leggere, giocare, dormire e anche scrivere! Certo, gli scossoni dovevano essere all’ordine del giorno… diciamo che gli ammortizzatori non erano ancora molto diffusi!
E anche gli incidenti di percorso erano molto frequenti e quando accadevano c’era solo da sperare che nei paraggi ci fosse qualche posto dove poter far riparare una ruota!
L’altro grande mezzo era la rheda, una specie di diligenza del far west.. o una nostra roulotte! Trainata da due o quattro cavalli, poteva trasportare più persone e i loro bagagli che venivano sistemati in un cassone.
Il carpentum invece era un carro leggero che poteva avere due o quattro ruote ed era chiuso da una copertura a volta, anche in tessuto di seta: il suo uso era riservato alle persone di un certo rango sociale, come gli imperatori, i suoi più stretti collaboratori e il prefetto del pretorio; solo le donne della famiglia imperiale e il pontefice lo potevano utilizzare dentro la città di Roma per salire al Campidoglio.
All’interno della città infatti era proibito girare con i mezzi di trasporto trainati dai cavalli o dai muli e i carri, almeno durante il giorno, dovevano essere “parcheggiati” in apposite aree, proprio come accade anche oggi in alcune delle nostre città.
E qui come ci si spostava allora?
I ricchi potevano farsi portare dai loro servi all’interno di una lettiga, una specie di letto a baldacchino portatile, con morbidi cuscini per il passeggero che non si poteva vedere perché i lati erano chiusi da tendine.
Per trasportarne una servivano da 6 a 8 persone, a seconda di quanto era pesante la lettiga, che poteva avere anche delle decorazioni… e anche di quanto era pesante chi la occupava! Pensate che a volte i ricchi signori la usavano anche per raggiungere le loro ville fuori dalla città… e lì sì che bisognava avere schiavi robusti!
Non tutti rispettavano il divieto di muoversi dentro la città con i mezzi trainati da animali: Seneca nel I secolo d.C. dice che il rumore delle ruote degli esseda è proprio terribile da sopportare a Roma (Epistole, 54, 6). Questi esseda erano dei cocchi a due ruote, scoperti, che derivavano dai carri da guerra gallici e pare che fossero molto amati dagli imperatori, tanto che Augusto ci mangiava sopra e Claudio ci giocava a dadi; piacevano anche alle signore che li utilizzavano per le passeggiate fuori città.
Sempre su due sole ruote si muoveva il cisium, cioè un calessino scoperto spesso guidato dallo stesso proprietario, senza un cocchiere. Dalla casa del Menandro di Pompei provengono alcune parti in ferro di un cisium, uno dei pochi casi in cui la nostra conoscenza non passa per una rappresentazione, ma per via diretta.
I mezzi di trasporto, come si è capito, non mancavano affatto, anche se spesso se li potevano permettere solo i ricchi signori e i funzionari che viaggiavano a spese dello stato lungo la rete stradale romana.
Le persone comuni spesso potevano contare solo sulle proprie forze o, al massimo, sull’aiuto di un animale da soma come un mulo; il ritmo del viaggio era scandito dalla natura: di giorno si camminava, di notte ci si fermava o ci si doveva accampare da qualche parte in attesa che il sole sorgesse di nuovo. Non si doveva avere troppa fretta e forse in tutto quel tempo che si passava sulla strada si facevano incontri interessanti, si condividevano cammino e storie…. quanto avrebbero da raccontare le pietre della Via Appia o quelle della Via Aurelia se solo sapessero parlare!
I milioni e milioni di piedi che le hanno calpestate non hanno lasciato una traccia visibile; restano oggi i solchi dei carri e, nelle commettiture delle pietre, qualche moneta, un piccolo oggetto perduto che non si è tornati indietro a cercare… e chissà anche quante storie di uomini, donne e bambini in viaggio sulle strade del tempo che non conosceremo mai.
Vivo a Siena, una città in cui è impossibile non essere circondati dalla storia. Non volevo fare l’archeologa fin da piccola, ma credo di averlo capito al momento giusto.
Ho legato il mio cuore a siti speciali in cui ho avuto e ho la fortuna di lavorare e sono un discreto topo di biblioteca. Ma una delle cose che preferisco fare è condividere le storie che leggo nella terra con i bambini: occhi trasparenti e domande spontanee mettono a nudo l’archeologia e non ammettono risposte vaghe!
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