Eccoci, ci siamo. Ho preso tutto? Sì, mi sembra di sì, ho la macchina piena di terra, argilla, carta, colori, non manca niente…Oh no! Mi sono scordata le forbici, dai poco male, avranno delle forbici accidenti. Per la lezione sono a posto? Sì le quattro copie anti-ansia del power point, rispettivamente su due diverse penne USB, Hard-disk e computer, ce le ho e caso mai un’improvvisa tempesta solare causasse un’alterazione del campo magnetico terrestre provocando un blackout globale, ho la mia copia cartacea. Bene. So cosa devo dire? Sì. Siiì… Sì? Dai sii uomo! Ti sei fatta appunti e schemi è impossibile non sapere cosa dire, tranquilla ti capiranno. E se mi dovessero chiedere qual era il colore preferito di Gaio Vibio Treboniano Gallo? …
Forse esagero, alla fine frequentano ancora le Elementari.
Questo è più o meno quello che penso ogni volta che devo entrare in una classe o devo affrontare un percorso didattico con gruppi di bambini.
Sono un’archeologa e, da un paio di anni, talvolta mi capita di essere anche operatrice didattica. Come archeologi una grande fetta del nostro lavoro sta nel trasmettere informazioni, nel comunicare i nostri risultati, nel parlare con le persone, nel coinvolgere un pubblico il più vasto possibile.
Come operatore didattico si deve anche essere in grado di fornire un’esperienza formativa, coinvolgente e che susciti curiosità e interesse. Preparare un percorso didattico è tutt’altro che un gioco da ragazzi, ti assalgono continuamente dubbi, perplessità e domande. Personalmente trovo lo scoglio maggiore nell’utilizzo, nella ricerca di un certo linguaggio. Come parlare ai bambini? Come essere allo stesso tempo chiara e divertente? Ferma e coinvolgente? Veicolare un’informazione ed essere interessante?
I bambini sono estremamente ricettivi, mi sono accorta che un parlato eccessivamente semplificato li annoia non li coinvolge affatto, allo stesso tempo parole difficili non contestualizzate li distraggono più facilmente. Quindi il metodo più efficace per una buona comunicazione sta nel mezzo? Ni.
Sia durante la fase preparatoria che durante lo svolgimento delle attività, cerco sempre di trovare una traduzione pratica ai concetti espressi, così se devo parlare del mio lavoro non manco mai di portarmi dietro gli attrezzi del mestiere che faccio toccare e provare ai bambini. Se devo parlare della formazione degli strati archeologici mostro loro una pila di mattoncini colorati nella quale il mattoncino più in basso è anche il più “antico”. Fondamentalmente quando penso alla struttura di un intervento cerco sempre di attingere da immagini, situazioni, esempi rapportabili con la loro quotidianità, con il loro vissuto.
Ovviamente le sole parole non bastano, per capire bisogna fare. Un discorso espresso nel migliore dei modi non serve a molto se non si dà la possibilità di sperimentare, di concretizzare le parole apprese. Le attività pratiche e i laboratori non possono e non devono mancare affinché avvenga una buona comunicazione. È solo giocando ad essere archeologi, è solo interpretando il ruolo dello studioso che i bimbi capiscono cosa veramente faccia questo sconosciuto figuro. E poi, diciamocelo, il gusto di mettere le mani nella terra è impagabile.
Certo, la preoccupazione che il messaggio che volevo trasmettere non sia arrivato o che i bambini non mi abbiano capito appieno mi rimane spesso, però, altrettanto frequentemente, questi dubbi scompaiono quando, inaspettatamente, un bimbo alza la mano e se ne esce con un’osservazione acuta o ti fa una domanda furbetta per farti capire che ha capito perfettamente.
Giuro, si rimane di sasso quando si legge in quegli occhietti vispi quella scintilla che ti suggerisce l’avvenuta comprensione, o, meglio ancora, l’entusiasmo per questa nuova esperienza.
Probabilmente per un insegnante questo è pane quotidiano ma vi assicuro che per me è sconvolgente quando capita, insomma è una vera e propria vittoria.
Io e l’archeologia non ci siamo amate fin da subito. Quando da bambina incontrai un’archeologa, capii che passare ore sotto al sole piegati, sporchi di terra e sudati non poteva fare per me. Ma come nelle migliori storie, gli amori più grandi nascono da scontri all’apparenza definitivi.
Da circa sette anni mi occupo di didattica, mi diverte molto cercare i linguaggi adatti e creare le esperienze giuste per coinvolgere i bambini anche i più scettici come lo era la sottoscritta tanto tempo fa.
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