C’è un posto davvero speciale in Valle Camonica, a metà strada tra la provincia di Bergamo e quella di Brescia, dove il tempo sembra essersi fermato. All’interno di una cornice naturalistica a dir poco suggestiva, uomo e ambiente hanno interagito sin dalla Preistoria e le prove di questa connessione strettissima si possono ancora oggi leggere nelle incisioni visibili su circa 2000 rocce, sparse in 180 località e 24 comuni e distribuite in 8 parchi. Pensate che sono state identificate più di 140.000 figure! Ma si stima che il numero complessivo sia molto, ma molto più alto.
Non è un caso, dunque, che questa enorme galleria di incisioni rupestri all’aria aperta sia stata dichiarata dall’Unesco, già nel 1979, Patrimonio Mondiale dell’Umanità.
La cosiddetta “Valle dei Segni” è lo scenario in cui è ambientata la storia raccontata da Cosetta Zanotti nel libro “Tipù delle palafitte”, illustrazioni di Francesca Carabelli, San Paolo Ragazzi Edizioni. Una storia, ispirata dalle lunghe passeggiate meditative che l’Autrice ama fare sulle colline che dominano il lago d’Iseo, che ha come protagonista una vivace e curiosa ragazzina preistorica di nome Tipù.
“Sono magra come una sardina. Ho grandi occhi marroni, labbra rosse come ciliegie e in bocca mi stanno crescendo due denti nuovi. Il mio naso sottile termina con una punta all’insù, la mia pelle ha lo stesso colore del miele e tra i capelli arruffati ho piccoli ciuffi legati con nastri di pelle di daino. Porto sempre con me il bastone che mi ha regalato nonno Gù, perché può servire, dice lui. Nonna Gà invece mi ha regalato una borsa di pelle. La porto a tracolla quando vado in giro a raccogliere oggetti che mi piacciono: piume colorate, sassi dalle forme strane e cose così”.
Tipù vive con la sua famiglia, il Popolo del Lago, in un villaggio di palafitte dove il tempo è scandito dai meravigliosi racconti di Nonno Gù: storie di stelle, di animali, di terrore e di antenati lontani.
La grande passione di Tipù è disegnare ovunque trovi una superficie a disposizione per farlo: sabbia, sassi, foglie. Sicché, quando suo padre Tù parte, insieme agli altri cacciatori del villaggio, per raggiungere gli Uomini dei Segni sulle montagne e partecipare alla grande battuta di caccia del cervo, Tipù ne approfitta per sgattaiolare via dal villaggio e allontanarsi alla ricerca di piante e pietre con cui creare nuovi colori.
La partenza dal villaggio è per Tipù l’inizio di un’eccitante e anche un po’ paurosa avventura. Le toccherà dormire tutta sola di notte nella foresta, tenersi alla larga da un temibile branco di lupi che pare inseguirla – salvo poi scoprire che Lunamozza sta cercando solo di proteggerla dal suo peggior nemico: Unocchio –, imparare a decifrare la voce degli alberi e rispettare il respiro della Natura, procacciarsi da mangiare e persino medicare la ferita di un lupo.
Questa avventura non sarà allora per Tipù una semplice scappatella, ma una sorta di percorso di formazione, un rito di iniziazione, la sua prima vera esperienza da cacciatrice, l’ingresso ufficiale nella vita adulta.
Fa tenerezza questa piccola bambina preistorica capace di sfidare qualsiasi pericolo pur di perseguire il suo principale desiderio: disegnare. Così come fa riflettere, oggi più che mai, il rispetto sacrale con cui si accosta alla foresta e a chi lo abita. Sicché pur appartenendo ad un popolo di cacciatori, Tipù sa bene che quando si uccide un animale non lo si deve assolutamente spaventare, pena il rischio di ingoiare la sua paura e non liberarsene mai più. E sa altrettanto bene che abbracciare gli alberi, sentirne la corteccia nodosa graffiare la pelle e percepirne la voce, è un gesto potente capace di allontanare ogni paura.
Va dunque riconosciuto all’Autrice il merito e il coraggio di aver scelto come protagonista della sua storia una giovane figura femminile capace di influenzare e suggestionare con il suo coraggio, i suoi comportamenti, la sua indipendenza e la sua unicità le piccole lettrici e i piccoli lettori. Ma soprattutto, porre al centro di un racconto storico una bambina vuol dire anche restituire visibilità e dignità a tutti quei bambini e quelle bambine, di epoche e civiltà lontane, di cui quasi mai vi è traccia nei manuali di storia. Un’infanzia invisibile, relegata ai margini dell’attenzione degli storici ma che pure ha tanto da insegnare ancora oggi.
E allora, se vi dovesse capitare di passeggiare per la Valle Camonica, prestate attenzione. Su una delle tantissime rocce incise, potreste imbattervi nel segno tracciato da Tipù al termine della sua avventura: delle grandi mani aperte come rami, come radici, come palchi di cervo.
Mani protese verso il cielo a cercare altre mani da stringere.
Tipù delle palafitte
Dal suo villaggio di palafitte sulle sponde del lago, la piccola Tipù intraprende un lungo viaggio fino alle montagne dove vivono gli Uomini dei Segni, il popolo che traccia misteriose incisioni sulle rocce. Ma il cammino non sarà facile. Dovrà trascorrere le notti sola nella foresta dove la attendono lupi, orsi e il terribile sgnacco-sgnacca. Per fortuna gli insegnamenti dei nonni e la voce degli alberi saranno aiuti preziosi per superare i pericoli e affrontare le paure. Mi chiamo Tipù e sono una bambina moderna. Abito in un villaggio di palafitte con il Popolo del Lago, ma sono anche fi glia del Popolo dei Segni.
Età di lettura: da 7 anni.
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Mi chiamo Giovanna e vivo in Puglia. Ho sempre avuto le idee molto chiare: a 8 anni sapevo già che avrei fatto l’archeologa. Per anni mi sono divisa tra gli scavi e montagne di mattoni, tegole e coppi. Chissà, forse sono fatta un po’ di argilla…
Poi, ho capito che dovevo raccontare l’archeologia ai bambini e dare un senso, una prospettiva al mio lavoro. E allora ho scoperto una cosa fondamentale: le storie sono l’unica cosa che ci lega al passato e al futuro e che nessuno potrà mai portarci via.
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