Se dovessimo dare un titolo all’ultima campagna di scavo sul sito di Vignale (LI), Terme per tutti i gusti andrebbe benissimo!
Quest’anno infatti abbiamo lavorato principalmente in due aree: quelle delle terme imperiali, nella parte a Sud della villa/stazione di sosta e quella delle terme tardoantiche, che erano collegate alla parte più lussuosa della villa.
Terme ovunque insomma.
Le prime colpiscono sicuramente per l’imponenza della struttura di base che è rimasta: un insieme di murature in cementizio molto solide che definiscono stanze regolari, con il calidario a Sud, il tepidario al centro e le sale fredde a Nord, proprio come prescrive Vitruvio, l’autore di un trattato sull’architettura antica scritto circa 2000 anni fa.
L’impianto di queste terme è talmente da manuale che ci ha offerto l’occasione per spiegare ai tanti bambini che sono venuti a trovarci che cosa fosse un complesso termale e come funzionasse.
Nelle grandi città si trovavano diversi stabilimenti in cui uomini e donne, in spazi separati o in orari diversificati, potevano recarsi per la loro igiene personale. Le case delle persone comuni infatti non avevano i bagni come li intendiamo noi, ma al massimo una latrina per i bisogni corporali. Andare alle terme tuttavia non era solo una pratica necessaria, ma anche una piacevole abitudine sociale: spesso questi spazi erano infatti anche luoghi di incontri e di affari, perché mentre si stava a mollo nell’acqua calda si poteva anche parlare di politica o trascorrere momenti di relax.
Le terme non potevano mancare nemmeno nelle stazioni di sosta che si trovavano lungo le strade a intervalli più o meno regolari. Al sopraggiungere della notte, il viaggiatore stanco si fermava dopo ore di viaggio a cavallo o sul carro, ma comunque sempre in strade polverose in estate e fangose in inverno; a seconda della stagione era accaldato o infreddolito e un bel bagno era quello che ci voleva per rimetterlo in sesto.
Abbiamo imparato insieme anche le parole che usa Vitruvio per descrivere i diversi ambienti delle terme: calidarium, tepidarium, frigidarium, apoditherium… un piccolo gioco con la lingua latina che parlavano gli antichi abitanti di Vignale.
“Maestra, ma alla fine questo latino non è poi così difficile!”
“Sì, infatti le parole assomigliano alle nostre: caldo e calidario sono quasi uguali!”
“A me frigidario fa venire in mente il frigorifero!”
[A proposito della recente proposta di reintrodurre il latino nella scuola…]Tanto le terme imperiali sono robuste e solide, così quelle tardoantiche sono… spettacolari.
Prima di tutto questo secondo impianto termale si trova in un punto molto particolare della villa: vicinissimo all’antica laguna di Falesia, in modo che dalle finestre si vedesse l’ampio lago che collegava la terra ferma al mare e accanto alla sala con il grande mosaico pavimentale di Aion e delle stagioni.
Erano terme grandi, con almeno tre ambienti riscaldati comunicanti tra loro.
“Ma anche gli antichi avevano il riscaldamento?” – chiede un bambino con le guance arrossate dal sole che mi guarda da sotto il cappellino.
“Diciamo che si erano inventati un sistema molto ingegnoso per scaldare almeno gli ambienti delle terme”.
“Ma quello sembra il forno per la pizza!” – grida una bambina con le trecce e tutti scoppiano a ridere.
Ridono un po’ e poi si rimettono a guardare me che aspetto in silenzio e li guardo con aria interrogativa. Sembra che si distraggano continuamente, ma in realtà sono incuriositi e basta un attimo a far scattare il collegamento.
“Ma… facevano davvero il fuoco là dentro?”, chiede un bambino indicando proprio l’apertura del prefurnio.
“Dove? Fai vedere anche me”, cominciano ad agitarsi perché non sia mai che uno solo di loro riesce a vedere qualcosa e gli altri no: le scoperte importanti si fanno insieme.
“Esatto! Provate a immaginare la scena: qualcuno sta davanti a questo archetto e infila delle fascine di legna nella bocca del forno e con delle lunghe pertiche le spinge sotto il pavimento della vasca che funziona come un enorme forno”.
“Ma allora sotto è vuota? Ci si può andare?”
“Era vuota una volta, quando funzionavano le terme, adesso è riempita con la terra che si è accumulata dopo che le terme sono andate in rovina”.
“E come faceva il pavimento a stare su?”
“Ottima domanda: il pavimento aveva sotto dei pilastrini fatti con tanti mattoni quadrati impilati uno sull’altro e rimaneva in questo modo sospeso: infatti i pilastrini si chiamano, in latino, suspensurae”.
“Quindi, ricapitolando: il fuoco scaldava il pavimento della vasca da sotto”, interviene la maestra.
“Sì, proprio così. Ma questa vasca aveva un sistema ancora più efficace per scaldare l’acqua: nelle pareti, che ora sono conservate a un livello molto basso, vedete che ci sono tutti questi ‘buchi’?”
“Sìiii!!!”
“Ecco, non sono dei ‘buchi’, ma dei tubi di terracotta montati in verticale, che permettono al calore, che viene prodotto sotto il pavimento, di scaldare anche le pareti. Questo sì che è una specie di impianto di riscaldamento non vi pare?”
“Forte! Ma quindi questi muri poi erano alti fino al tetto?”
“Certo. Dovete cercare di immaginare una stanza con la pianta semicircolare, che è riempita di acqua fino a un certo punto. La parte che conteneva acqua era rivestita con dei bei marmi colorati. E magari in alto c’erano delle ampie finestre che davano molta luce a tutto l’ambiente e sopra un tetto coperto di tegole”.
“E dove sono? Come fai a saperlo?”
“Le finestre non ci sono più, ma all’esterno della vasca abbiamo trovati molti frammenti di vetro da finestra e quindi abbiamo fatto questa ipotesi. E poi abbiamo trovato all’esterno del muro della vasca anche un grande strato di crollo, con le tegole del tetto. Per i marmi invece basta guardare qua: ci sono tutte le impronte che le lastre hanno lasciato sulla malta fresca quando le hanno posate. E poi, a ben guardare, ci sono rimasti anche alcuni frammenti di lastre: sono coloratissimi!”
“Io non vedo niente!”
“Nemmeno io”.
“Avete ragione: sono un po’ sporche di polvere e hanno una crosticina di calcare per la tanta acqua che è stata a contatto con il marmo. Adesso ve le mostro”.
Prendo una spugna umida e tampono la parete della vasca. I colori si accendono e i bambini sono catturati:
“Ma è viola!”
“No, è azzurro!”
“Che belli!”
“Ecco, dovete immaginare che tutta la vasca era rivestita con questi colori. Sono anche marmi molto preziosi, vengono da zone lontane da qua…”
“Quindi vuol dire che il signore che aveva queste terme era molto ricco!”
“Ma questo già si sapeva: l’anno scorso ci hai detto che anche per fare il grande mosaico aveva chiamato degli artigiani addirittura dall’Africa!”
“Bravissimi, vi ricordate alla perfezione! Era molto ricco e probabilmente aveva molti schiavi che lavoravano per lui. Ci voleva il lavoro di molte persone per fare in modo che queste grandi terme funzionassero”.
“In che senso?”
“Pensate a quante cose si dovevano fare per avere acqua e aria calda: andare a tagliare la legna nei boschi qua intorno, portarla fino qua, fare le fascine, tenere il fuoco acceso, ripulire tutto lo spazio sotto la vasca dalla cenere che si produceva…”
“È vero, non ci avevo pensato”.
“Essere ricchi non significava solo avere i soldi per comprare del marmo pregiato e farlo montare nella vasca, ma anche avere boschi in cui far tagliare la legna e la forza lavoro di molti schiavi per avere a disposizione acqua calda per sé e i propri ospiti”.
“Proprio bella questa vasca vero bambini?” – fa notare la maestra – e non è solo bella: attraverso una vasca abbiamo parlato di molti argomenti diversi che riguardano il mondo antico”.
“È vero, abbiamo parlato degli schiavi”
“E dei boschi qua intorno”.
“E anche dei sistemi ingegnosi di riscaldamento”.
“E anche di come vivevano gli antichi in un posto come questo”.
“Non è incredibile che attraverso una vasca termale si possano avere tante informazioni sull’ambiente naturale, l’economia, la tecnologia e le abitudini di vita?”, fa notare ancora la maestra.
“Peccato però, maestra, che è rotta là al centro”.
“Sei un ottimo osservatore”, intervengo. “È vero, il pavimento della vasca è rotto ma dietro a quella rottura c’è una bella storia perché quel buco in realtà non è una rottura”.
“Che cosa vuoi dire?”
“Se osservate bene, vedrete che la buca ha una forma regolare, rimangono anche due angolini… vedete?”
“È vero, è una buca proprio strana”, osserva un bambino che è stato quasi sempre in silenzio.
“Esatto. Questa buca è in realtà un’impronta di qualcosa che stava proprio qua al centro della vasca, qualcosa che in questo punto ‘sostituiva’ il pavimento. Si trattava di una specie di caldaia di metallo che si scaldava a contatto con la fornace sottostante la vasca e rimaneva sott’acqua come una parte sempre calda. Si chiamava, in latino, testudo”.
Mi guardano un po’ interdetti.
“Si chiamava così perché aveva la forma di un guscio di tartaruga, che in latino si dice testudo”.
Poteva essere montata sia con la parte concava rivolta verso l’alto e contenere così una riserva di acqua bollente e poteva essere montata come un guscio di tartaruga e mi piace pensare che ci si poteva stare quasi abbracciati… ma forse bruciava un po’ troppo!”
“E ora dove è finita questa testudo? L’avete tolta voi?”
“Qualcuno l’ha portata via quando le terme hanno smesso di funzionare, probabilmente per riciclare il metallo; di solito le testudines erano di piombo o di bronzo ed era materiale che si recuperava sempre per essere fuso nuovamente. Infatti ne sono arrivate pochissime fino a noi e tutte accartocciate dal peso della terra e delle pietre che si sono poi accumulate sopra. Nel nostro caso non c’era alcun resto di metallo; la buca per l’asportazione della caldaia era riempita da terra e pietre, le stesse che sono finite anche sotto il pavimento sospeso della vasca.
C’era però in questo riempimento un segnale curioso, che non abbiamo saputo cogliere.
Tra le pietre del riempimento c’erano alcune piccole ossa che non sembravano umane; la loro particolarità erano delle striature… solo scavando ci siamo resi conto che era una…. tartaruga! O meglio, il guscio di una tartaruga”.
“Quindi una testudo vera!” esclama una bambina con gli occhi vivaci.
“Proprio così…”.
“E che cosa ci faceva una tartaruga nelle terme?”
“Ma è antica?”
“Ancora non so rispondere a tutte le vostre domande. Credo che la tartaruga si sia infilata sotto terra, sfruttando i vuoti che si creano negli strati di pietrame e magari poi è morta là sotto. Eccola qua; adesso tutto il guscio è riempito di terra. Solo svuotandolo, sapremo se dentro ci sono le sue ossa”.
“Ma è proprio il guscio tutto intero!”
“E se le ossa non ci sono?”
“Vuol dire che c’è solo il guscio”.
“E che cosa vuol dire?”
“Che forse qualcuno ha buttato via un guscio vuoto, senza più l’animaletto…”
“Ma gli antichi mangiavano le tartarughe?”
Hanno ascoltato e osservato a lungo e ora è il momento delle domande.
Mi piace esserne sommersa: tante domande vogliono dire che la curiosità è stata solleticata e sta avendo la meglio sul caldo e sulla sete.
Tutto intorno è uno spargimento di fogli e matite, di appunti fatti di mezze frasi e disegni che si mescolano con i nostri attrezzi di lavoro e penso che in questo splendido apparente disordine c’è tutto il senso del nostro lavoro di “archeologi di comunità”.
Vivo a Siena, una città in cui è impossibile non essere circondati dalla storia. Non volevo fare l’archeologa fin da piccola, ma credo di averlo capito al momento giusto.
Ho legato il mio cuore a siti speciali in cui ho avuto e ho la fortuna di lavorare e sono un discreto topo di biblioteca. Ma una delle cose che preferisco fare è condividere le storie che leggo nella terra con i bambini: occhi trasparenti e domande spontanee mettono a nudo l’archeologia e non ammettono risposte vaghe!
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