È una mattina buia e tempestosa a Picco Pernacchia. Pioggia scrosciante, vento ululante e fulmini che rigano il cielo come tanti fili luminosi di ragnatele. Con un tempo da lupi così, nessuno ha voglia di uscire di casa. Nessuno, tranne Vera Voglio e Cecilia Candeggina, due dei bambini della IIB della Scuola Rodari. E assieme a loro, gli altri compagni di classe. Ci sono tutti nell’atrio della scuola al suono della campanella. Ma per assurdo a mancare sono i professori; il fiume è straripato e le strade sono invase dall’acqua, pertanto è impossibile raggiungere la scuola con le auto. E allora che si fa? Ranuzzi, il corpulento bidello della scuola, decide di prendere in mano le redini della situazione. In fondo, è scritto nel regolamento della ‘bidellanza’ che, in mancanza di insegnanti, “il bidello diventa automaticamente Tiranno Sovrano della Scuola, e tutti gli devono obbedienza”. Raduna tutti nella mensa, l’unico posto più asciutto dell’intero edificio, e lì – incitato dai bambini e illuminato dalla luce fioca di tante candele – inizia a raccontare la storia di una strana statuetta raffigurante un faraone con in testa un copricapo a forma di sturalavandini. Comincia così, con una storia nella storia e con un incipit che ti catapulta con forza nelle pagine a seguire, il libro
Serafina Sfingi e il segreto del faraone, di
Tommaso Percivale con le illustrazioni di
Laura Re,
Lapis Edizioni.
Il libro fa parte della nuova collana di narrativa – progettata da
Pierdomenico Baccalario e
Davide Calì – ‘
Quelli della Rodari’, brevi romanzi illustrati in cui sono raccontate le avventure degli scalmanati alunni della IIB della scuola elementare di
Pico Pernacchia. Storie assurde e strampalate, a partire dai nomi dei bambini (Furio Furetti, Bianca Battaglia, Patty Padella…), ma che offrono ai giovani lettori la possibilità di immedesimarsi nei loro coetanei di carta e provare l’emozione unica di riviverne le improbabili giornate scolastiche.
Quella di Serafina Sfingi, la protagonista del libro in questione, è una storia che si colloca in un tempo lontano quando anche Serafina era nella classe IIB della Rodari. Un giorno la bambina porta in classe una statuetta raffigurante un uomo seduto con una specie di bastone tra le mani e uno sturalavandini sulla testa. A suo dire, l’individuo rappresentato sarebbe il faraone
Sgocciaunthot III, della Seconda Dinastia e mezzo, ma il maestro non le crede e allora Serafina, per non rischiare di prendere un brutto voto, inizia una rocambolesca impresa pur di recuperare il papiro che dimostrerà a tutti che lei ha detto la verità.
Vestendo i panni di una Agatha Christie in miniatura, Serafina – che è figlia di un papirologo e di una direttrice di museo – vola addirittura in Egitto e qui si ritrova, assieme ad un suo coetaneo come lei figlio di archeologo, ad indagare su strani furti di oggetti antichi che da qualche tempo si verificano al Museo del Cairo.
Ad una prima lettura superficiale e preconcetta, i cliché legati all’immaginario diffuso su archeologia e dintorni in questo libro ci sono tutti: gli archeologi che sposano altri archeologi e che mettono al mondo figli con la stessa passione dei genitori, case ricolme di oggetti antichi e poi l’Egitto, le piramidi, il mistero e l’immancabile fiuto da detective che caratterizza ogni buon archeologo che si rispetti. Insomma, se così fosse, questo libro ci rovinerebbe la reputazione e spazzerebbe via in un solo colpo tutti i nostri tentativi di spiegare ai bambini (e agli adulti) che l’archeologia è una scienza non una mirabolante avventura tra le sabbie dorate dell’Egitto o di qualche altro Paese lontano. Il punto è che le cose stanno solo apparentemente così, perché a ben vedere ciò che l’Autore fa, di pagina in pagina, è smontare progressivamente ciascuno di quest cliché caricandoli di ridicolo, esasperandoli, insomma trasfigurandoli nell’inverosimile ma non per questo meno accattivante intreccio narrativo.
Sfido chiunque archeologo/a a non desiderare una cameretta come quella di Serafina:
Le pareti erano tutte tappezzate di maschere africane, soprannominate “i musi lunghi”. Un angolo era pieno di lance variopinte, il letto era un triclinium romano su cui dormiva Tabalah (la sua mummia di pezza), la scrivania era il tavolo di uno speziale medioevale e l’armadio un sarcofago greco su cui erano scolpite le dodici fatiche di Ercole.
O a non avere curiose passioni segrete come Severino Sfingi, che adora le barzellette egizie, o il professor Contapass, che colleziona i biglietti dei cioccolatini e addirittura incarica un suo studente di archiviarli con cura. Ironia e dissacrazione, conditi da una buona dose di fantasia, sono dunque gli ingredienti principali di questo libro, in cui paradossalmente i bambini si prendono molto più sul serio degli adulti e proprio non riescono a capacitarsi delle loro debolezze e frivolezze. Serafina è una giovane eroina impavida e determinata, disposta a tutto pur di dimostrare al suo maestro di non essere affatto una bugiarda, al contrario, e il suo coraggio è un’iniezione di fiducia e buon umore e sembra voler puntare il dito contro quei grandi che spesso dubitano della buona fede dei bambini.
A proposito, ma alla fine di tutto riuscirà a trovare il papiro? E perché il faraone Sgocciaunthot aveva un copricapo a forma di sturalavandini? Per scoprirlo non vi resta che leggere il libro.
Comment here