Per la rubrica “Quattro chiacchiere con il direttore” inauguriamo la serie del 2020 con l’intervista a Paola Desantis, direttrice del Museo Archeologico Nazionale di Ferrara. Il museo – allestito nei locali del cinquecentesco palazzo tradizionalmente attribuito a Ludovico Sforza detto il Moro, Duca di Milano, appartenuto in realtà ad Antonio Costabili, segretario di Ludovico e personalità di spicco della corte del Duca Ercole I d’Este – si presenta al visitatore come museo dell’antica città di Spina e offre un’eccezionale panoramica dell’immenso patrimonio di materiali greci ed etruschi di straordinaria bellezza e importanza provenienti dalle oltre 4.000 tombe delle necropoli.
Da pochissimi giorni, inoltre, c’è un motivo in più per andare a visitare questo sorprendente museo! È infatti finalmente tornato a Ferrara uno dei più significativi reperti recuperati dagli scavi di Spina, concesso in prestito al Metropolitan Museum di New York dal 2012: il cratere di Dioniso del Pittore di Altamura, uno dei ceramisti attici più notevoli della metà del V secolo a.C., esposto per l’occasione insieme ad altri due crateri attribuiti allo stesso artista.
Come vedrete leggendo l’intervista, moltissime sono le iniziative dedicate ai più piccoli. A questo punto non ci resta che invitarvi a scoprirle anche di persona!
Ringraziamo di cuore la Dott.ssa Desantis per averci concesso questa intervista con questo finale così intimo e profondo e auguriamo buon lavoro a lei e a tutto il suo staff!
Perché, secondo lei, è importante incrementare la visita ai musei per i bambini e le famiglie?
Uno degli scopi fondamentali di ciascun museo è condurci per mano ad entrare in contatto diretto con realtà che possono essere le più varie, a seconda della specializzazione dei diversi istituti. Ma tutti i Musei, siano essi tecnico-scientifici che artistici, archeologici, etc. dovrebbero aiutarci a risalire all’origine dei fenomeni, a collocare i prodotti dell’uomo nel tempo e nello spazio, ad allargare la visuale, a cercare le motivazioni più profonde che hanno dato origine alla nostra storia e vita attuale, alla nostra interazione con realtà diverse e lontane, ad ubicare i fenomeni nel tempo e nello spazio.
La visita al Museo può essere dunque considerata una vera avventura dello spirito, che può portare le giovani menti dei bambini, scevre da preconcetti e condizionamenti, a scoperte che resteranno indelebilmente impresse nella mente. Se è certamente importante che questo tipo di apprendimento avvenga nell’ambito di visite scolastiche, è comunque importante allo stesso modo che un’esperienza di questo tipo sia vissuta in famiglia, sia per i bambini, che legheranno questi momenti, fondamentali per la loro crescita, anche ai commenti e alle spiegazioni dei genitori, sia per i genitori stessi che condividendo con i figli questi momenti di indubbia evoluzione, potranno meglio aiutarli nella crescita e nello sviluppo della loro personalità.
Quali attività o progetti didattici propone il Museo Archeologico di Ferrara per queste utenze?
Va premesso che il Museo non dispone finora di personale specifico per la cura dell’attività didattica che quindi, pur con la supervisione della Direzione del Museo, viene svolta da esterni. Solo lo scorso anno, grazie alla possibilità di avere in Museo ben 5 volontari del Servizio Civile, tutti laureati in archeologia, abbiamo potuto contare su un servizio didattico capace ed efficiente, che ha portato al Museo un grande incremento di visite di ambito scolastico ma non solo. Attualmente, terminata purtroppo questa felice esperienza possiamo contare su due tipi di attività: una gratuita e una a pagamento. Quella gratuita, svolta a cura del Gruppo Archeologico Ferrarese, è rivolta ai bambini più piccoli e consiste in visite guidate e soprattutto laboratori, sia in Museo che nell’aula didattica, incentrati su aspetti tematici di volta in volta concordati e che prevalentemente riguardano temi della vita quotidiana in ambito etrusco a partire dagli oggetti in mostra nelle vetrine. Questi incontri sono ormai tradizionalmente legati a date particolari quali: Befana, Carnevale, Festa della Mamma, Ferragosto, Famiglie al Museo, Halloween. Molto significativa è l’adesione a queste iniziative formative e divertenti, che però hanno, purtroppo, carattere di sporadicità e dunque non possono essere considerate attività sistematica.
Non sistematica, ma comunque dotata di una certa continuità, è l’attività didattica inserita nel progetto di Alternanza Scuola Lavoro, che già da 4 anni si è intrapresa con il liceo scientifico Roiti di Ferrara, sia per quanto riguarda gli aspetti archeologici del Museo che quelli del Palazzo e del Giardino neorinascimentale. In particolare i liceali si impegnano saltuariamente in visite guidate per le classi elementari.
Esiste poi un servizio didattico a pagamento, assegnato previa procedura negoziata ad una società esterna (Le Macchine Celibi), che lo cura secondo progetti concordati comunque con la direzione del Museo. Il costo del servizio è naturalmente un ostacolo alla sua diffusione, per cui solo una percentuale bassa di classi ne usufruisce. Questo aspetto rappresenta un vero problema, da superare evidentemente anche con una migliore comunicazione, perché se è pur vero che le guide hanno un costo, d’altro canto però molte classi vanno comunque a visitare le mostre temporanee, dove i ragazzi pagano anche il biglietto a differenza che nei Musei statali, dove l’ingresso è gratuito fino a 18 anni.
Quali sono invece i progetti futuri che le piacerebbe realizzare?
L’elemento di cui il Museo avrebbe maggiormente bisogno sarebbe almeno un’unità di personale che possa occuparsi a tempo pieno della didattica nella sua forma primaria, vale a dire visite guidate inserite in un vero e proprio servizio didattico a carattere gratuito. Solo così il Museo potrebbe diventare un luogo diverso dove fare cultura ed educazione. La scuola dell’obbligo, quanto meno, dovrebbe poter usufruire di questo servizio di cui si faccia carico il Museo stesso.
Certamente tanti poi possono essere i mezzi da utilizzare per spiegare un museo: dai laboratori di vario tipo, ai prodotti multimediali a quelli interattivi. Alcuni dei quali già in nostro possesso come totem, tavolo interattivo, filmati ricostruttivi.
È prossima la realizzazione di ampi spazi didattici, costituiti da sala proiezioni, aula didattica, spazi dedicati a ricostruzione di ambienti, spazi per caffetterie e mostre etc. finanziati con fondi ministeriali e che sono allo stadio di progetto di fattibilità.
Quale è l’opera che più di altre attira l’attenzione dei più piccoli all’interno del Museo?
Certamente una delle attrattive più sensazionali sono le due imbarcazioni monossili di oltre 12 metri di lunghezza che, merito anche della loro semplice ma suggestiva ambientazione, colpiscono moltissimo la fantasia dei bambini, come pure la sala degli ori, allestita anche questa in modo spettacolare dando particolare evidenza allo splendore del metallo e della lavorazione. Non va poi dimenticata la grandissima attrattiva suscitata, al centro del grande giardino neorinascimentale, dal grande labirinto unidirezionale dove il pubblico è invitato ad entrare per godere di un’esperienza singolare.
Quali possono essere, secondo lei, gli strumenti e le iniziative più adatti per attrarre i bambini e gli adolescenti e far loro vivere un’esperienza significativa in un museo archeologico?
Ottimo è ogni mezzo che aumenti il coinvolgimento e l’interattività. Se, con ogni evidenza, non è possibile il coinvolgimento diretto con il materiale archeologico, è importante favorire l’interazione con gli oggetti, invitando i giovani visitatori alla loro riproduzione grafica, fotografica o anche alla riproduzione tridimensionale, a capirne l’uso, ad indagarne caratteristiche tecniche e funzionali. Sono particolarmente utili a creare attenzione, e dunque apprendimento, le drammatizzazioni che possono essere di tipo reale o virtuale, i giochi di gruppo, e comunque tutte quelle attività che, dopo aver fornito contenuti, stimolino nei ragazzi la creatività e l’interazione.
Per concludere, ci può raccontare un aneddoto o una breve storia della sua infanzia relativo al suo rapporto con i musei e con l’archeologia?
Il libro di Ceram I detectives dell’Archeologia e opere simili sono venute per me solo dopo, verso gli 8-10 anni, quando l’imprinting era già dato di fatto. Prima, molto prima, forse sapevo appena leggere, si parla del 1960 o giù di lì, quando con il mio amichetto del cuore avevamo organizzato nel garage, che affacciava sul giardino della casa dove entrambi abitavamo, una esposizione di vecchi oggetti particolari, che avevamo battezzato MUSEO, con la scritta MUSEO e la freccia sulla parete di fronte all’ingresso. Diciamo che si trattava di un’operazione non solo didattica ma anche imprenditoriale, come significativamente illustrava, presso la freccia, la scritta Lire 20. Quella casa è da tempo disabitata, ma ho avuto di recente occasione di verificare che la scritta, in vernice marrone, dopo quasi 60 anni è rimasta, a oggettivare quel ricordo. Cosa conteneva quel Museo? Ricordo solo che utilizzammo gli scaffali del garage per esibire inverosimili cimeli, come la carta geografica che servì a Cristoforo Colombo per scoprire l’America, un vasetto in vetro appartenuto a Cleopatra, un antico manoscritto che avevamo trovato scavando in giardino, dove l’avevamo poco prima sotterrato. Ricordo l’emozione che quegli oggetti ci suscitavano, per il solo fatto di essere “vecchi” quindi “antichi”, carichi di storie, sentimenti e vite vissute….Trovai le parole per esprimere questo solo nella prima giovinezza, fra le pagine di Alla ricerca del tempo perduto e in particolare nel passo in cui Marcel Proust dice (vado a memoria): “…mia nonna regalava solo oggetti vecchi, come se il tempo in sé, le vicende, gli usi passati le nobilitassero, le rendessero degne di considerazione, contribuissero a creare la felicità che a quelle cose dà compiutezza…”.
Il cerchio ormai si chiudeva per me sull’archeologia e su una passione ancora adesso immutata che cerco di trasmettere agli altri. Perché? Perché penso che generi vera gioia andare alla scoperta dell’origine delle cose, verso il loro senso più compiuto, da cui possiamo partire per costruire la nostra identità più profonda.
8 anni. Prima lezione di Storia. Una maestra speciale che m’incanta parlando della fine di Pompei e degli scavi che l’hanno riportata alla luce insieme alle storie dei suoi antichi abitanti. Quel giorno ho deciso che da grande avrei fatto l’archeologa.
E forse è per via di questo inizio che ancora mi trovo divisa tra la passione del fare ricerca sporcandomi le mani di terra e la consapevolezza che raccontare il nostro mestiere, soprattutto ai più piccoli, lo possa caricare di senso e di futuro.
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