Per la rubrica “Quattro chiacchiere con il direttore” questa settimana incontriamo Maria Gatto, Direttrice del Museo Archeologico Nazionale “Gaio Cilnio Mecenate” e Anfiteatro Romano di Arezzo. Il museo, allestito nei locali dell’ex Convento di San Bernardo, sorto sui resti di un antico anfiteatro romano risalente al II secolo d. C., ospita una ricchissima collezione presentata ai piccoli visitatori da una guida speciale: il Gatto Gaio!
Ringraziamo la Direttrice per l’intervista e le facciamo i nostri migliori auguri per i prossimi lavori!
Perché è importante incrementare la visita ai musei per i bambini e le famiglie?
Invitare famiglie e bambini è un obiettivo importante che ogni museo dovrebbe prefissarsi. L’esperienza museale infatti può costituire un importante momento di condivisione, in grado di promuovere il dialogo fra le diverse generazioni, cementare i legami affettivi, liberare le potenzialità creative dei giovani visitatori e portare nuovi stimoli di apprendimento all’interno del nucleo familiare.
Quali attività o progetti didattici propone il Museo Archeologico Nazionale “Gaio Cilnio Mecenate” per queste utenze?
Quali sono i progetti futuri?
Stiamo lavorando su due importanti fronti, l’uno digitale, l’altro analogico: il potenziamento della conoscenza dell’anfiteatro romano con realizzazione di un modello 3D esplorabile e la creazione di una sezione con modelli tattili di alcuni reperti del Museo. Questo per favorire nei visitatori grandi e piccini esperienze che creino interazione a più livelli e attraverso più canali sensoriali con le nostre collezioni e i luoghi del complesso Museo-anfiteatro.
Qual’è il monumento o l’opera che più di ogni altra attira l’attenzione dei più piccoli all’interno del Museo?
Senza dubbio la proiezione olografica della Chimera di Arezzo per le caratteristiche sia dell’opera in sè, un grande bronzo che raffigura la straordinaria creatura mitologica tricorpore in grado di colpire la curiosità e la fantasia dei più piccoli, sia dell’applicazione virtuale, che crea emozione e stupore e quindi stimola l’osservazione. Apprezzatissimi altri oggetti “strani”, come un canopo etrusco da Sarteano oppure il grande cranio del bos primigenius.
Ci può raccontare un aneddoto o una breve storia della sua infanzia relativo al suo rapporto con i musei e l’archeologia?
Da piccola ho visitato alcuni musei con la scuola e con la mia famiglia, ma non con grande frequenza e forse nemmeno con grande soddisfazione. La mia passione per l’archeologia deriva soprattutto dall’essere nata e cresciuta in campagna, a diretto contatto con la “terra” e i piccoli grandi tesori che può custodire, e dall’esperienza scout, che ha sviluppato in me un forte desiderio di ricerca e di esplorazione!
Io e l’archeologia non ci siamo amate fin da subito. Quando da bambina incontrai un’archeologa, capii che passare ore sotto al sole piegati, sporchi di terra e sudati non poteva fare per me. Ma come nelle migliori storie, gli amori più grandi nascono da scontri all’apparenza definitivi.
Da circa sette anni mi occupo di didattica, mi diverte molto cercare i linguaggi adatti e creare le esperienze giuste per coinvolgere i bambini anche i più scettici come lo era la sottoscritta tanto tempo fa.
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