Cari bambini, vi svelo un segreto. Sembra strano ma quando avvengono nuove scoperte archeologiche, di quelle incredibili di cui si sente parlare anche alla televisione, non è la fine o il traguardo di una ricerca, come si potrebbe pensare, ma spesso è il suo inizio. Come dire, è come ritrovare la chiave di una porta chiusa da anni e poi non entrare nella stanza; non sareste curiosi di oltrepassare quella barriera per vedere cosa c’è dentro, invece di urlare e basta “ho trovato la chiave, ho trovato la chiave”?!
Bene, allora sappiate che alcune scoperte archeologiche avvenute 70, 90 o anche più di 100 anni fa continuano ad essere oggetto di studio e interesse.
E perché mai? – direte voi – Quanto ci mettono questi archeologi a ricostruire la storia? Beh la verità è che ricostruire la storia non è un processo così immediato e veloce e alle volte sono necessarie scoperte in altri campi, come quello tecnologico o scientifico, per poter fare piccoli passi avanti.
Tutti voi conoscete le pitture rupestri del Paleolitico, nei libri di storia ci sono molte immagini di queste bellissime rappresentazioni realizzate sulle pareti delle grotte con terre e ocre, capolavori dell’arte preistorica che ci permettono di vedere il mondo un po’ come lo vedevano gli uomini di tanto, tanto tempo fa.
Tra tutti i soggetti rappresentati forse quello che affascina di più sono le mani.
Impronte di mani o mani al negativo ottenute spruzzando il colore intorno alle dita poggiate sulla roccia, sono presenti in numerose grotte sia in Europa che nel resto del mondo.
Il perché queste impronte ci intrighino così tanto è piuttosto ovvio: sono in qualche modo un tramite diretto con gli uomini del paleolitico, quanto più di una mano rappresenta il naturale collegamento con gli altri esseri umani? D’altra parte per fare conoscenza ci stringiamo la mano e per esprimere affetto diamo delle carezze. Pensate infine alle impronte colorate delle nostre manine sui fogli di carta, chi non conserva gelosamente una traccia del se stesso bambino?!
Torniamo alle pitture rupestri. Alcune di queste sono state scoperte addirittura a cavallo del 1800 e del 1900 eppure ancora oggi ci si continua ad interrogare sul significato delle impronte delle mani. Riti iniziatici o di passaggio all’età adulta, risultati di esperienze sciamaniche o richieste di guarigioni, “firme” o semplici testimonianze di una permanenza fisica all’interno della grotta, oggi sappiamo che le mani non hanno un singolo significato, ma plurimi dettati dai vari contesti.
Oltre a capirne il significato, gli studiosi hanno cercato nel tempo di ottenere informazioni riguardanti proprio le persone che hanno lasciato quelle impronte: chi erano costoro? È possibile avere notizie specifiche e individuali a partire da quei segni? Beh, chiaramente sarà difficile sapere quale fosse il loro colore preferito o quale stagione dell’anno amassero di più, certo è che alcune cose possiamo tentare di ricostruirle, come ad esempio il loro sesso.
Di recente un team inglese dell’University of Liverpool ha messo a punto un metodo per stabilire il sesso delle persone a partire dall’impronta delle mani. Come studio arriva alla fine di una lunga tradizione di ricerche in questo ambito ed è stato possibile grazie alla collaborazione tra archeologi, medici, matematici e anatomisti. L’impossibilità di determinare il sesso dalle impronte sulla base delle sole dimensioni della mano si è posta un po’ alla base di questa ricerca. Se ci si pensa una mano piccola non necessariamente indica una donna, ma può riferirsi ad un adolescente; allo stesso modo una mano grande non per forza deve appartenere ad un uomo, ma può essere di una donna piuttosto alta.
Il team ha scelto di utilizzare la morfometria geometrica per registrare le variazioni delle forme delle mani, e in base a questi dati stabilire il sesso della persona. Come il bacino e il cranio, anche le mani possono essere indicative del genere.
Che cosa significa? La morfometria permette di comparare gli individui grazie al confronto di misure lineari (lunghezza e larghezza) tra due punti, in questo caso per la mano ci sono 19 punti di riferimento.
La morfometria geometrica, invece, anziché fare riferimento a misure lineari prende in esame la geometria complessiva di questi punti.
In parole semplici questi studiosi inglesi si sono fatti aiutare dai matematici e da grandi computer, che hanno effettuato i calcoli, per associare misure particolari della mano al sesso delle persone.
Ma come hanno fatto a essere certi che la loro idea fosse corretta?
Beh, hanno dovuto fare un esperimento. Hanno chiesto a un gruppo, un “campione” si dice, di 132 persone (53 maschi e 79 femmine) di poggiare le mani sulla carta colorandone i contorni con uno spray, per ottenere le impronte al negativo come quelle delle pitture rupestri. A questo punto sono state fatte le misurazioni e i calcoli e si è così scoperto che le forme dei palmi delle mani variano a secondo del sesso, quindi studiando le forme è possibile ipotizzare se il proprietario della mano fosse stato un uomo o una donna. Molto interessante.
Ma perché, alla fine dei conti, si devono fare questi studi incredibili con computer e formule matematiche che fanno venire il mal di testa? È così importante sapere se chi ha lasciato un’impronta su di una roccia 25000 anni fa era un uomo o una donna? Non basta dire che quelle pitture nelle grotte sono belle e basta?
Dunque, ricordate la stanza che abbiamo aperto all’inizio? Immaginate di trovarci dentro una vecchia scatola di un puzzle con tantissimi pezzi, ma senza il coperchio che mostra l’immagine completa. Non sareste curiosi di sapere quale disegno mostrerà alla fine l’incastro di quei frammenti di cartoncino? E non sareste felici di trovare l’attacco giusto di uno o più pezzi? Ecco questo è quello che spinge gli archeologi, e non solo, a continuare a studiare: sempre nuove ricerche, nuovi interrogativi e nuove idee per trovare altri attacchi a quel puzzle senza coperchio.
Per approfondimenti sullo studio citato clicca qui.
Io e l’archeologia non ci siamo amate fin da subito. Quando da bambina incontrai un’archeologa, capii che passare ore sotto al sole piegati, sporchi di terra e sudati non poteva fare per me. Ma come nelle migliori storie, gli amori più grandi nascono da scontri all’apparenza definitivi.
Da circa sette anni mi occupo di didattica, mi diverte molto cercare i linguaggi adatti e creare le esperienze giuste per coinvolgere i bambini anche i più scettici come lo era la sottoscritta tanto tempo fa.
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