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Per le strade della Rocca – parte II

La scorsa settimana ci eravamo lasciati così, con Martino preso in trappola tra Bartolo da un lato e i suoi compari dall’altro. Ricordate? Anche Pia, preoccupata, stava assistendo alla scena…

Difficile dire esattamente cosa successe, ma si sa, di fronte alla loro dama, i cavalieri devono sempre dimostrare coraggio: Martino chiuse gli occhi e con un grido si scagliò a testa bassa, come un ariete, contro Bartolo. Gli altri non fecero nemmeno in tempo a capire cosa stesse per accadere che il loro capo era a terra tramortito e lui correva a rotta di collo verso la chiesa.

“Aiuto, aiuto, aiutooo!”
“Figliolo! Ma che succede? Chi ti insegue?”, il parroco riuscì a malapena a fermarlo, ci mancò poco che non finisse anche lui travolto da quel bambino urlante!
“…mi vogliono buttare nel pozzo! Oppure giù dalle mura, o schiacciarmi nel frantoio come un’oliva, hanno detto proprio così e io non ci voglio finire morto qui sotto!”, disse con tono confuso indicando col dito l’area antistante la chiesa, il luogo deputato alle sepolture di tutti gli abitanti del villaggio. Era ancora sconvolto dalla vista di tutte quelle ossa che spuntavano dalla terra quando poche settimane prima avevano scavato la fossa dove avevano poi sepolto suo zio, avvolto in un lenzuolo bianco. Non ci teneva proprio ad andare a fargli compagnia!

Ingresso della chiesa e ricostruzione dell’edificio e della zona del sagrato adibita a cimitero. Immagini da: “Rocca San Silvestro”, Roma, 1991 e “San Silvestro, guida al parco archeominerario”, Piombino, 1997


Fu in quel momento che si accorse di un’altra presenza che aveva assistito alla scena: era una delle guardie del castello, se ne stava appoggiato a un muretto con le braccia conserte e se la stava ridendo della grossa. L’aveva sentito? Accidenti, che brutta figura che aveva fatto! Stava piagnucolando come una femminuccia!
“Ragazzo come ti chiami?”, gli chiese la guardia.
“Martino…”, rispose sussurrando, con gli occhi bassi e paonazzo di vergogna.
“Parla più forte, non ti ho sentito!”.
“Martino! Mi chiamo Martino…”.
“Molto meglio! Io sono Goffredo. Vieni con me, accompagnami fino al posto di guardia che tra poco inizia il mio turno. Intanto magari mi racconti quali diavoli ti hanno spaventato così”.

Martino gli spiegò la faccenda e mentre lo faceva non riusciva a togliere gli occhi dalla sua spada e dal suo pugnale che gli pendevano dalla cintura. Alla porta c’erano le altre guardie ad attenderli: “Goffredo, ti sei portato i rinforzi, oggi!” e giù tutti a sghignazzare.
Martino allora si prese di coraggio e sbottò: “Goffredo prestami la tua spada! Devo dare una lezione a Bartolo e agli altri una volta per tutte!”.
Risate scroscianti: “Ragazzo, ma che vuoi fare? Queste spade sono più pesanti di te!”
Goffredo però non rideva, lo scrutò per un attimo e poi gli disse: “Va bene, se riesci a battermi al gioco del mulino ti lascio impugnare la mia spada e ti aiuto a risolvere questa situazione. Ci stai?”.

Schema del “gioco del mulino” (filetto) inciso sulle scale d’ingresso del castello e scena di gioco tra due guardie. Immagini da: “Rocca San Silvestro”, Roma, 1991 e “Rocca San Silvestro: il percorso didattico”, Pontedera, 1995


Si tirano fuori le pedine e si inizia. Goffredo ha giocato centinaia di partite lì su quelle scale con i suoi compagni durante quegli sfiancanti e noiosissimi turni di guardia, ma Martino è sveglio, suo nonno gli aveva insegnato quel gioco anni prima e le sue piccole dita si muovono agili tra una pedina e l’altra.
Sono pari, poi ecco la mossa decisiva… Martino ha vinto!
“Accidenti, ragazzo! Mi hai fregato, sei davvero bravo!”, dice Goffredo con un sorrisetto di finto rammarico.
“Goffredo, maledizione, ti sei fatto battere da questo moccioso! In che mani è mai questa rocca!”.
“…nelle mani di un uomo giusto…”, dice una voce nel gruppo.
“Bene, Martino, da uomo d’onore quale sono, adesso devo mantenere la mia promessa, sei pronto?”.
“Prontissimo!”.
“Andiamo allora!”.

Qualche minuto e sono nel vicolo dove poco prima c’è stato lo scontro. Le case sono tutte vicine, basta buttare una voce per richiamare chiunque: “Bartolo, sono qui!”. Goffredo sfodera la sua spada e la dà in mano a Martino: è pesantissima, ma lui è così felice che neanche se ne accorge, le braccia gli temano ma non molla la presa, soprattutto adesso che con la coda dell’occhio ha visto che tra i tanti a fare capolino, anche Pia si è affacciata alla porta di casa.
Un attimo dopo i quattro ragazzini spuntano sulla strada. A Martino basta brandire la spada – proprio come tante volte ha immaginato che faccia un valoroso cavaliere – che quelli, con aria terrorizzata, fuggono urlando in mezzo alle risate di tutto il borgo!

Beh, senza dubbio, quel giorno Martino ha avuto la sua piccola vittoria ma io credo che gli sia anche rimasto un grande dubbio in testa: non saper più decidere se fosse più bella la spada che teneva in mano o il sorriso pieno d’orgoglio di Pia.

 

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