Sei in montagna. Stai passeggiando lungo un sentiero stretto e ripido. Il cielo è di un azzurro terso e l’aria è limpida e frizzante. Mentre avanzi a passi lenti e cauti i tuoi occhi vagano da un punto all’altro del panorama che ti accoglie e avvolge: in alto, verso la vetta innevata dei monti, davanti, verso il verde dei boschi, in basso, verso il selciato cosparso di ghiaia che stai calpestando.
Poi, ad un certo punto, il tuo sguardo si blocca. Accanto ad un masso roccioso qualcosa cattura la tua attenzione. Sembra una pietra qualsiasi, ma il tuo intuito ti dice che non è così.
L’afferri con cautela, la rigiri tra le mani e all’improvviso ti accorgi di strani segni che ne solcano la superficie. Allora recuperi dallo zaino la tua borraccia d’acqua, ne bagni la superficie e… non può essere! Quello che vedi è una vongola! Ma che diavolo ci fa una vongola a quasi tremila metri di altitudine?
L’esperienza che è toccata ad Alex Noguès, quando aveva dodici anni, sarà andata più o meno così. L’incontro con una vongola in montagna ha letteralmente cambiato la sua vita e segnato il suo destino. Sì, perché proprio per cercare una risposta alle domande nate dopo quello strano incontro, Alex è diventato da grande un geologo. Non solo. Ha anche scritto un libro per raccontare a tutti cosa è successo quel giorno di tanti anni prima e cosa ha capito poi studiando la Terra e le sue evoluzioni.
“Un milione di ostriche in cima alla montagna” è il titolo del meraviglioso albo illustrato scritto, per l’appunto, da Alex Nogues e illustrato con grazia da Miren Asian Lora, da poco pubblicato in Italia dalla casa editrice Camelozampa, dopo essere diventato un vero e proprio successo editoriale in molti altri paesi del mondo.
Partiamo dallo stile narrativo scelto dall’autore. Sin dalle prime battute Nogues intesse un dialogo fitto fitto con il lettore. Di pagina in pagina lo invita ad accompagnarlo in una ideale passeggiata in montagna, a guardarsi attorno, a porsi e a porgli delle domande; la sensazione di chi legge è davvero quella di essere impegnati in un’esperienza esplorativa multisensoriale ad alta quota guidati da una voce sicura ed esperta.
Di dettaglio in dettaglio, Nogues direziona l’attenzione del suo interlocutore verso il punto del paesaggio che ha in mente dal principio: il profilo roccioso della montagna segnato da tante linee orizzontali. Sembra – e qui Nogues ricorre, per provare a spiegare cos’è la stratigrafia, ad una delle più poetiche similitudini geologiche in cui finora mi sia capitato di imbattermi – quasi uno spartito musicale roccioso, dove “gli strati sarebbero le note e le linee sarebbero le pause. L’inizio del brano sarebbe nella parte più in basso e il finale nella parte più in alto”.
Scalando questo spartito di pietra e arrivando in cima, dove l’affioramento di nuda roccia è ben visibile, ci si imbatte in un “mare di ostriche” dove però il mare non c’è e non c’è mai stato. Ma è davvero così?
Il mare non è fermo, si muove e i suoi impercettibili movimenti di avanzamento e arretramento proseguono in un’eterna danza da milioni di anni. E ferma non è neppure la Terra: al megarallentatore le placche continentali si avvicinano e qualche volta si scontrano e allora può accadere che laddove c’era il mare ora ci sia la montagna e viceversa.
Quella dei movimenti della crosta terrestre è una teoria affascinante ma complessa, tutt’altro che facile da spiegare ad un bambino. Eppure in questo libro Alex Nogues riesce, con grande delicatezza e con una narrazione incalzante e piana, a rendere comprensibili concetti ostici e inafferrabili persino per un adulto. La potenza divulgativa dell’albo sta nella capacità dell’autore di utilizzare con maestria, quasi fosse davvero un compositore musicale che deve fare economia di note, le immagini e le parole giuste per raccontare la straordinaria storia del pianeta terra.
Il rischio in cui si incorre quando si fa divulgazione scientifica per ragazzi è quello di cadere nell’ovvio o nella tentazione della semplificazione. Non è questo il caso. La complessità delle tematiche trattate è opportunamente preservata e lo è anche il linguaggio specialistico che necessariamente deve essere utilizzato quando si affrontano certi argomenti. Eppure la scrittura che ne viene fuori, calibrando opportunamente concetti e termini scientifici (o relegando gli approfondimenti ad apposite schede anche graficamente differenziate dal resto del libro), è di grande effetto e suggestione. Merito anche delle illustrazioni che amplificano la forza della narrazione evocando, mostrando, suggerendo connessioni e visioni, disvelando il non visibile o intellegibile.
Ci sono libri capaci di fare la differenza nella crescita intellettiva di un bambino. Libri che possono rendere unica e indimenticabile una lezione a scuola, straordinaria una gita in montagna o una vista al museo, determinante per il proprio futuro un pomeriggio di letture sul divano.
Il punto è fare in modo che l’incontro tra questi libri e i loro potenziali giovani lettori avvenga, sì da rendere più ricche di significato le loro vite e perché no, condizionare le loro scelte da adulti.
Ecco, questo è uno di quei libri per cui vi chiediamo davvero di fare di tutto affinché questo incontro accada e possa così nutrire la loro curiosità verso ogni più piccola traccia fossile della storia millenaria della Terra.
Un milione di ostriche
in cima alla montagna
Cosa ci fanno milioni di ostriche in cima a una montagna? Come hanno fatto ad arrivare fin lassù? La Terra ha molti segreti da raccontare e questo albo ci guida alla scoperta di misteri incredibili, custoditi nelle profondità del nostro pianeta da milioni di anni. Rigore scientifico, una narrazione entusiasmante e divertente, raffinate e atmosferiche illustrazioni: un libro per innamorarsi della geologia e delle meraviglie del mondo naturale.
Età di lettura: da 7 anni.
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Mi chiamo Giovanna e vivo in Puglia. Ho sempre avuto le idee molto chiare: a 8 anni sapevo già che avrei fatto l’archeologa. Per anni mi sono divisa tra gli scavi e montagne di mattoni, tegole e coppi. Chissà, forse sono fatta un po’ di argilla…
Poi, ho capito che dovevo raccontare l’archeologia ai bambini e dare un senso, una prospettiva al mio lavoro. E allora ho scoperto una cosa fondamentale: le storie sono l’unica cosa che ci lega al passato e al futuro e che nessuno potrà mai portarci via.
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