Viviamo circondati da immagini, mappe e rappresentazioni del mondo e proprio per questo non è facile immaginare di vivere in un luogo senza mappe (pur avendo molta immaginazione…).
Eppure questo mondo senza mappe un tempo esisteva e, se proviamo a pensarci, c’è una domanda che sorge spontanea: davvero le persone che lo abitavano riuscivano a immaginare che ci fosse ancora altra terra rispetto a quella che calpestavano? Ancora altro mondo rispetto a quello che conoscevano?.
Ci riesce difficile anche solo immaginarlo, eppure è così. C’è stato un tempo, che ora ci appare lontanissimo, in cui gli uomini non avevano idea di quanto grande potesse essere il mondo e di quanta distanza potesse essere frapposta tra sé stessi e altri popoli. La curiosità di conoscere cosa ci fosse al di là delle terre conosciute era tanta, ma altrettanto radicata era la paura di avere a che fare con l’ignoto e non avere gli strumenti giusti per affrontarlo. La prima però, ad un certo punto, è stata più forte della seconda. Un giorno qualcuno si è mosso per la prima volta; ha tracciato dei sentieri affinché altri dopo di lui potessero percorrerli, ha creato delle mappe e ha iniziato a riempire i vuoti presenti nella concezione geografica dell’epoca. Altri hanno seguito quel primo viaggiatore, spingendo sempre più in là il confine della conoscenza e alimentando nuovi e irresistibili desideri di esplorazione.
Le storie di 11 viaggiatori del passato, dal IV secolo a.C. sino alle soglie del Novecento, sono raccontate da Isabel Minhós Martins nel libro Atlante dei grandi esploratori. Nove uomini e due donne alla scoperta del mondo, con le illustrazioni meravigliose di Bernardo P. Carvalho, Donzelli Editore. Un libro potente che è esso stesso un invito al viaggio; non ha caso è stato premiato per l’alta qualità narrativa e tecnica alla 56° Bologna Children’s Book Fair con il Bologna Ragazzi Award nella sezione ‘non fiction’.
Più che una raccolta di biografie di viaggiatori e viaggiatrici del passato, l’autrice si propone di indagare le ragioni che hanno spinto al viaggio, il contesto storico, sociale e geografico in cui è avvenuto e in che mondo gli esiti dello stesso hanno influenzato non solo il modo di pensare e di approcciarsi al mondo di ogni singolo protagonista, ma più in generale la visione globale che ne è scaturita anche a distanza di secoli.
Perché gli uomini a un certo punto hanno cominciato a viaggiare? Le ragioni sono state le più disparate: ricerca di cibo, l’alternativa ad un clima troppo duro, guerre, sete di conquista ma anche, dal Settecento in poi soprattutto, la voglia di conoscere meglio i continenti, le specie che lo abitavano e il modo in cui si erano evolute. Ciascuno di questi viaggi ha inevitabilmente comportato l’incontro con culture e popoli diversi; in alcuni casi la diffidenza è prevalsa e si è tramutata in prevaricazione e violenza da parte dei nuovi arrivati, in altri casi tra indigeni e forestieri si è venuta a creare una buona intesa tale da favorire il supporto e lo scambio reciproci.
Ma il vero comune denominatore di tutti questi viaggi è stata la necessità di esplorare sé stessi lungo il cammino:
Nel momento in cui lasciamo il nostro mondo e i nostri rispettivi luoghi, è come se scoprissimo meglio chi siamo. È come se ciò che è diverso da noi – gli altri, che siano persone o luoghi – ci aiutasse a percepire meglio la nostra identità dandoci indicazioni importanti per continuare la costruzione di noi stessi. Sempre incompleta, sempre in divenire.
Intorno al 350 a.C., Pitea un greco nato nel Sud della Francia con una grande reputazione da geografo, matematico e astronomo, partì alla ricerca dello stagno oltre lo stretto di Gibilterra, che all’epoca costituiva il limite invalicabile delle terre conosciute: le famose colonne d’Ercole. Non si sa bene in che modo, ma riuscì nell’impresa di sfuggire al controllo dei Cartaginesi che allora sorvegliavano lo stretto e che, in quanto alleati dei Persiani, erano acerrimi nemici dei Greci.
Pitea si spinse ben al di là nel Mediterraneo in un periodo in cui nessuno osava farlo e descrisse genti e costumi incontrati in un libro purtroppo andato perduto e noto solo da fonti terze. La sua missione è la prova evidente che per rendere possibile ciò che non lo è, occorre lasciar spazio e avere il coraggio di andare oltre.
Ibn Battuta, nato a Tangeri in Marocco agli inizi del Trecento e figlio di uno studioso di leggi islamiche, partì a soli 21 anni alla volta della Mecca per motivi religiosi. Il suo viaggio, che sarebbe dovuto durare solo pochi mesi, si protrasse per ben 29 anni! Una profonda curiosità e un incontenibile desiderio di scoperta lo portarono a raggiungere l’India, la Cina, l’Indonesia.
A Delhi fece il giudice per 8 anni, nelle Maldive si sposò per ben 9 volte e in Cina scoprì l’uso della cartamoneta che in Europa sarebbe arrivata solo tre secoli dopo.
E le donne? A lungo una serie infinita di divieti, scaturiti da una mentalità retriva e maschilista, hanno impedito alle donne di viaggiare; ciò nonostante non mancano certo gli esempi di quante sono riuscite ad aggirare gli impedimenti e a salpare verso l’ignoto. Come Jeanne Baret, per esempio, che nella Francia del XVIII secolo riuscì ad imbarcarsi assieme a suo marito, il botanico Philibert Commerson, per un viaggio di circumnavigazione del globo travestita da maschio.
O come Mary Kingley che, verso la metà dell’Ottocento, nonostante non si fosse mai allontanata da casa partì per il primo di due viaggi alla volta dell’Africa occidentale, inizialmente mossa dall’intento di raccogliere materiale per il libro lasciato incompiuto dal padre sulle tradizioni religiose delle tribù africane e poi conquistata dalla cultura e dai costumi di popoli che considerava uguali ad altri, sia pur diversi.
Basta dare un’occhiata alle rotte seguite da ciascuno di questi intrepidi esploratori per avere un’idea di quanto straordinari siano stati i loro viaggi, soprattutto se relazionati ai mezzi e alle risorse a disposizione delle epoche in cui sono vissuti.
Ogni pagina di questo libro trasuda emozioni e sensazioni contrastanti, le stesse che probabilmente hanno accompagnato ogni viaggiatore lungo il suo cammino: la paura e la curiosità, la diffidenza e l’attrazione verso l’ignoto, la nostalgia di casa e la libertà di andare senza una meta ben precisa.
E quella stessa dicotomia si traduce in un’alternanza tra tavole dai colori caldi che evocano paesaggi onirici e magici e disegni dai tratti neri e densi che definiscono figure, animali e scenari stranieri.
Perdersi in questo groviglio di storie, linee e colori è un piacere ma anche un dovere. Ciascuno di questi viaggiatori ci ha insegnato a suo modo quanto importante sia imparare a conoscere il pianeta per salvaguardarlo e quanto il rispetto delle culture e delle tradizioni altre sia premessa indispensabile per una convivenza pacifica e costruttiva.
Ma soprattutto, ripercorre con la mente i grandi viaggi del passato e capirne le ragioni autentiche, può forse aiutarci a intuire le innumerevoli motivazioni dei viaggiatori di oggi: di quelli che partono perché in un solo posto tutta la vista non ci sanno stare, di quelli che la propria terra natìa per guerre, violenze e atrocità sono costretti ad abbandonare, di quelli che hanno bisogno di allontanarsi da sé stessi per capirsi davvero. Una cosa è certa: “chi torna da un viaggio non è mai la stessa persona che è partita” (proverbio cinese).
Atlante dei grandi esploratori.
Nove uomini e due donne alla scoperta del mondo
Un giro del mondo sulle orme di 11 esploratori, dal 300 a.C. alle soglie del Novecento: ecco l'avventura elettrizzante che ci aspetta tra le pagine di questo atlante. Ma come facevano a viaggiare quando non esistevano le carte geografiche né le mappe degli smartphone? A piedi o in nave, a dorso di mulo o su un carro, queste rotte hanno aperto le vie dei commerci, hanno consentito l'incontro tra popoli e culture diversi, hanno dato vita a storie e leggende avvincenti e hanno contribuito a tracciare l'intero mappamondo. I primi esploratori spesso erano infatti anche geografi o astronomi, e col passare dei secoli si sono aggiunti naturalisti e botanici, e poi ancora artisti che ritraevano le specie e i paesaggi ignoti, quando ancora non esisteva la fotografia. E accanto alle storie degli esploratori più leggendari, da Marco Polo a Charles Darwin, il libro ne svela altre non meno entusiasmanti: quella del greco Pitea, per esempio, il primo a varcare le Colonne d'Ercole, o quella della giovane Jeanne Baret, la prima donna nella storia a compiere il giro del mondo, per di più travestita da maschio... volete scoprire perché? Sfogliate e... buon viaggio!
Età di lettura: da 8 anni.
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Mi chiamo Giovanna e vivo in Puglia. Ho sempre avuto le idee molto chiare: a 8 anni sapevo già che avrei fatto l’archeologa. Per anni mi sono divisa tra gli scavi e montagne di mattoni, tegole e coppi. Chissà, forse sono fatta un po’ di argilla…
Poi, ho capito che dovevo raccontare l’archeologia ai bambini e dare un senso, una prospettiva al mio lavoro. E allora ho scoperto una cosa fondamentale: le storie sono l’unica cosa che ci lega al passato e al futuro e che nessuno potrà mai portarci via.
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