Guest post

Mesolitico postmoderno

Il guestpost di oggi è a cura di Arjuna Cecchetti che, partendo da una passeggiata con un gruppo di bambini nell’Appennino umbro, ci propone una riflessioni su archeologia ed ecologia.


Che cos’è il Mesolitico

Con il termine Mesolitico si intende quella fase della preistoria nella quale le tribù di cacciatori raccoglitori avevano raggiunto tutti i continenti adattandosi a ogni tipo di clima, compresi i più estremi come quello artico o come i deserti, avevano addomesticato il cane e inventato l’arco.

Per immaginarsi meglio le popolazioni mesolitiche e il loro stile di vita possiamo azzardare un paragone con l’immaginario classico delle tribù native delle grandi pianure americane: accampamenti di tende, attività frenetiche nel campo, i fuochi accesi, i cani a zonzo, cacciatori pronti a partire per la caccia al bisonte, i volti truccati con i motivi ben augurali della loro tribù, un abbraccio alle mogli, un bacio sulla fronte dei bambini e via incontro al bisonte.

I cacciatori rimanevano lontani dal villaggio anche tre giorni o più, accampandosi in bivacchi temporanei nei pressi delle selle tra i monti, presso i punti di passaggio dei branchi. Ogni stagione sempre gli stessi luoghi.

Le Alpi, ad esempio, sono state una sorta di paradiso per gli archeologi preistorici, i quali hanno individuato numerosi bivacchi temporanei presso massi erratici e piccole grotte. In un certo senso l’archeologia preistorica poggia le proprie conoscenze su tracce di episodi limitati nel tempo: dall’abitato stagionale in grotta all’accampamento di tende. Informazioni effimere, che potrebbero essere cancellate da una piccola frana, un’alluvione o anche da una pioggia abbondante.

Una passeggiata con i bambini

Durante una passeggiata con una tribù di bambini tra le vette antiche dell’Appennino dell’Umbria meridionale, ci siamo imbattuti nelle tracce di una banda di cacciatori: resti di pasto abbandonati lungo il sentiero, colpi andati a vuoto e finiti tra la ghiaia, sacchi e sacchetti impigliati tra i rami.

Allora ci è venuto in mente un gioco. Ci siamo divisi in due squadre dotate di walkie talkie e, tenendoci in contatto con il classico “passo e chiudo”, prima abbiamo perlustrato tutta la zona, poi ci siamo ricongiunti in prossimità di una sella tra due alture, dove confluivano sentieri dai quattro punti cardinali. In quel punto la vista era ottima da nord a sud: un posto perfetto per accamparsi in attesa del rientro degli stormi, del passaggio di caprioli o dei cinghiali. Infatti le tracce che avevamo seguito portavano tutte lì.

Piccoli giacimenti archeologici erano accumulati sotto due ginepri che offrivano sotto la chioma spinosa un buon nascondiglio per gli appostamenti. Altre tracce erano sparse per la sella e un piccolo fuoco notturno era evidentemente stato accesso. Abbiamo censito ogni traccia trovata e cercato di interpretare le azioni che avevano portato alla formazione di quel contesto. In altra parole ci siamo trasformati in archeologi del post-antico.

Seguire le tracce dei cacciatori è stato facile anche per i bambini. I bossoli sono spesso di colori accesi e spiccano sul verde brunastro del bosco invernale; i resti dei pasti erano costituiti per lo più dalle famigerate scatolette di tonno e la plastica dei sacchetti era ovunque. L’accampamento era, infatti, l’evidente traccia lasciata dai cacciatori moderni, a loro modo emuli di quelli mesolitici.

In seguito, abbiamo smesso i panni degli archeologi e indossato quelli degli ecologisti. L’attività proposta è stata la ripulitura del bosco: un grande danno per i giacimenti archeologici! Abbiamo rimosso le tracce da sotto i ginepri e per tutta la sella e, una volta in paese, le abbiamo gettate nel cassonetto dell’indifferenziato. Questa esperienza, di per sé anche sin troppo comune, ci ha suggerito però una nuova riflessione: in effetti ripulendo il bosco non ci siamo comportati da buoni archeologi, in quanto abbiamo rimosso le tracce di un’attività umana, tracce magari destinate a chiarire alcuni aspetti della vita dei cacciatori contemporanei alle generazioni dei futuri archeologi.

Archeologia ed ecologia

L’esperienza raccontata è stata un gioco e non un’attività laboratoriale vera e propria, diciamo una suggestione da inserire in un percorso didattico dedicato all’archeologia. Una semplice gita nei boschi potrebbe effettivamente porre i ragazzi di fronte ad alcune considerazioni non del tutto superflue: qual è il comportamento corretto per evitare di cancellare le tracce del passato, e perché le tracce del presente, invece, si possono rimuovere?

Nessun archeologo si sognerebbe mai di raccogliere selci scheggiate e gettarle via. Perché allora riteniamo istruttivo ripulire il bosco dai bossoli di plastica? Qual è la differenza con le punte di freccia? Perché l’ecologia vince sull’archeologia?

Probabilmente la risposta parte dai materiali in questione, dalla loro ecologia intrinseca, se così si può dire. Le frecce mesolitiche erano di pietra scheggiata, elementi naturali lavorati artigianalmente, usati e riusati quanto più possibile. La fatica della caccia non finiva con l’abbattimento della preda ma continuava perché c’era da recuperare tutte le frecce che erano state scagliate a vuoto dato che nulla, a quei tempi, andava sprecato. Al contrario, oggi, si va a caccia con proiettili industriali confezionati in bossoli di plastica, e seppure esiste una legge che ne proibisce l’abbandono, i bossoli usa e getta non serviranno più a nessuno e i cacciatori hanno smesso di preoccuparsi di recuperare le loro cose. La caccia oggi è più che altro un vizio e viene condotta con materiali per nulla compatibili con i cicli naturali. L’esatto contrario delle culture preistoriche che invece hanno vissuto in completo equilibrio con la Terra, lasciando anche per questo motivo bene poche tracce della loro esistenza e rendendo il nostro lavoro di ricerca ben arduo!

In realtà quindi la nostra semplice esperienza di pulizia del bosco ci ha permesso di sottolineare un altro importante aspetto delle culture preistoriche: il loro sostanziale equilibrio ecologico.

Purtroppo però dobbiamo concludere con un’amara riflessione: piacerebbe molto anche a noi mettere in seria difficoltà gli archeologi del futuro, impedirgli di segnare sulle loro carte di distribuzione il sito che abbiamo ripulito, ma non ci facciamo illusioni…la caccia riaprirà l’anno prossimo e siamo abbastanza sicuri che i cacciatori moderni torneranno ad accamparsi in quel punto di passo come veri uomini del Mesolitico post-antico, e a loro modo porranno rimedio alla nostra pulizia.

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