I bambini che hanno partecipato lo scorso fine settimana ad uno dei nostri laboratori di scavo simulato lo avevano molto ben chiaro.Nina, Samanta e Alessandro glielo avevano spiegato proprio bene: tutto quello che tiriamo fuori dalla terra è un reperto, cioè qualcosa di “trovato” e quindi dobbiamo conservarlo per poterlo “interrogare”.
Palette e pennelli alla mano, le cassette bianche appositamente predisposte si sono presto riempite: pezzi di anfore, di pentole, di piatti, conchiglie, ossa animali, ma anche tappini di penne, centesimi di euro… tutti reperti!
Una volta finito lo scavo è stato il momento della loro analisi e della conoscenza di una parola nuova: manufatto, qualcosa cioè fatto dalle mani dell’uomo.
Un’anfora o una pentola ad esempio, fatta con la stessa argilla che nel tavolo accanto si poteva manipolare.
Le ossa degli animali no, quelle non sono manufatti, perché non sono opera dell’uomo, ma sono anch’essi reperti.
Facile.
E poi i colori, i materiali, le forme…
A fine giornata i bambini se ne sono andati con gli occhi vispi e incuriositi, tutti i reperti sono stati rimessi a posto e ce ne siamo tornati a casa.
Qualche giorno dopo, mi è capitato, come molte altre volte, di assistere agli esami di teoria e pratica della ricerca archeologica. Questa volta non siamo in una piazza illuminata dal sole in una bella domenica di primavera, ma dentro un’aula universitaria.
Vi chiederete: che cosa c’entra tutto questo con i nostri ArcheoKids?
C’entra eccome!
È un gioco che facciamo spesso con gli studenti che si presentano all’esame:
“Se tu dovessi spiegare a dei bambini che cosa è un reperto come glielo spiegheresti?”
I ragazzi sfoderano le loro migliori facce a punto interrogativo. Non si aspettano una domanda così… e che diamine, siamo all’università, mica alla scuola elementare!
Non gli viene subito in mente che se sai spiegare una cosa a un bambino, vuol dire che hai le idee molto chiare: non sono ammessi dubbi ed esitazioni, devi essere semplice, ma non banale, esauriente perché i bambini sono intelligenti e più curiosi di noi. E magari devi essere anche divertente, altrimenti non ti ascoltano nemmeno.
Comunicare in modo semplice ed efficace non è facile (a proposito: perché non si insegna anche questo a chi studia per diventare archeologo? Boh…) e gli aspiranti archeologi devono rendersene conto prima possibile, finché sono ancora in tempo!
Avrete capito che al prof con cui collaboro non piacciono gli esami convenzionali in cui verificare se gli studenti hanno ascoltato tutte le lezioni e preso bene i loro appunti; non vuole risposte secche e veloci, preferisce sentire il rumore delle rotelle che girano, gli piacciono le parole meditate, che non arrivano subito, ma che colpiscono l’obiettivo.
Durante queste chiacchierate, ci sono sul tavolo libri, fogli su cui fare schizzi e ipotesi e anche oggetti, da analizzare, toccare e osservare con attenzione.
Molti studenti, quando si siedono a quel tavolo, non hanno mai preso tra le mani un reperto archeologico; alcuni sono incuriositi, altri intimoriti da quegli oggetti semi-incomprensibili.
Però quelli che si trovano più in difficoltà, quando sono invitati a parlare di un argomento facendo riferimento a un oggetto, ingranano la marcia: gli oggetti abbattono le barriere, rendono i concetti meno astratti, aiutano a focalizzare l’attenzione e a centrare la risposta (e dovremmo usarli di più anche a scuola!).
Insomma, con gli studenti più giovani, soprattutto se un po’ emozionati, funzionano sempre.
Ma c’è una domanda davanti alla quale, anche i più bravi, esitano sempre un po’ (per la gioia del prof che si bea del loro girar di rotelle).
“Un frammento di anfora è un reperto o un manufatto?”
Qualcuno secondo me pensa dentro di sé: “Ma non è la stessa cosa?” e a volte, a dire la verità, questo dubbio glielo si legge in faccia.
Poi ci pensano e di solito la prima risposta è:
“Un manufatto”.
“Ma non è anche un reperto?”
“Si…”
“E che differenza c’è?”
Rotelle che girano… Perché se il prof lo chiede, la risposta non sarà banale e bisogna pensarci bene prima di rispondere. Se la risposta non arriva, cerchiamo di aiutarli a ragionare partendo dal significato delle parole.
“È un manufatto perché è un frammento di anfora, quindi è un oggetto prodotto dalle mani dell’uomo.”
“Giusto.”
“…ma è anche un reperto perché è qualcosa che è stato trovato.”
“Giusto anche questo.”
Un attimo di silenzio.
“Però non tutti i reperti sono manufatti.”
“Bravo. Alcuni reperti per esempio sono di origine naturale: una conchiglia, un osso animale, dei semi…”
“Prendiamo ad esempio questo frammento di anfora…” aggiungo mettendo sul tavolo uno dei pezzi rientrati dallo scavo simulato con i bambini.
“Questo è sia un manufatto che un reperto.”
“Vero. Ma allora perché noi archeologi usiamo due termini diversi per uno stesso oggetto? Vogliamo solo complicarci la vita?”
“Immagino di no…”
Sorridiamo tutti per allentare la tensione. Ma si è capito ormai che le piccole esitazioni nelle risposte in questa stanza hanno una valutazione positiva: vuol dire che si sta pensando e questo è già un valore in sé.
“Proviamo ad analizzare questo pezzo di anfora come manufatto e come reperto per vedere se il chiamarli in due modi diversi ha un senso.”
“Forse le due parole si riferiscono a due momenti diversi della vita di quest’anfora: la parola manufatto ha a che fare con la vita dell’oggetto, reperto ha a che fare con la morte e la rinascita dell’oggetto.”
La cosa comincia a piacerci molto.
“In che senso? Spiegati meglio.”
“Prima di tutto questa non è un’anfora, è un pezzo; non è intera e questo ha a che fare con il reperto. Molti reperti sono pezzi di oggetti, non oggetti interi. Forse ad un certo punto della sua vita l’anfora si è rotta ed è stata messa via, come quando a casa si rompe un piatto e non lo possiamo più usare. Magari i pezzi sono stati buttati e sono finiti poi nella terra. Quando gli
archeologi li hanno ritrovati quei pezzi sono diventati dei reperti.”
“Questo ragionamento significa quindi che quando veniva usata quotidianamente l’anfora era un manufatto e ora è un reperto?”
“Si. Quest’anfora era stata prodotta da qualcuno, in un certo modo, perché serviva a qualcosa, per esempio a contenere olio o vino. E’ stata usata per un po’, finché non si è rotta. Qualcuno quindi ha buttato i pezzi, scartando l’anfora che è diventata una specie di rifiuto. Ma poi l’archeologia le ha dato una seconda possibilità…”
“Che vuol dire?”
“Che da quando gli archeologi hanno riportato alla luce i pezzi dell’anfora, questa è diventata un reperto archeologico e può cominciare la sua seconda vita.”
“E questa vita è diversa dalla prima?”
“Si, molto. Prima, era un oggetto che veniva usato, ora non più, è rotto!”
“Allora abbiamo perso delle informazioni su quel manufatto?”
“Si e no…”
“Decidi: o si, o no!”
In questo momento, se tu ti avvicinassi a quella testolina, sentiresti un forte rumore di rotelle che girano…
“Abbiamo perso informazioni perché magari in qualche caso, se abbiamo pochi frammenti di un oggetto, non possiamo ricostruire la sua forma originale e quindi non possiamo nemmeno sapere che cosa era o a che cosa serviva.”
“Allora questa seconda vita è inutile?”
“No, spesso riusciamo a ricostruire la forma degli oggetti e la loro funzione. Possiamo comunque analizzare i pezzi che abbiamo e risalire, nel caso di un’anfora, al sistema con cui è stata prodotta, all’argilla che è stata usata per farla…
In questo senso, anche se il reperto non è intero, ci dà comunque delle informazioni utili. E poi non dobbiamo dimenticare gli altri oggetti che si trovavano con la nostra anfora.”
“Che cosa intendi?”
“Che magari la nostra anfora ci aiuta, anche se è in pezzi, a dare unsignificato anche ad altri oggetti che troviamo insieme a lei. Per esempio, se riusciamo a datarla, possiamo datare anche gli altri oggetti che abbiamo trovato accanto a lei o nello stesso strato.”
“Quindi da una parte l’anfora come manufatto non è intera (perdita di informazioni), ma come reperto può aiutarci a capire meglio altri oggetti che troviamo insieme (aumento di informazioni)?”
“Si…È più facile se prendiamo come esempio una moneta: ha sopra la data e quella data può essere estesa agli oggetti che troviamo insieme alla moneta.”
“E datare un oggetto antico che cosa vuol dire?”
“Arrivare a dire quando…”
“Quando cosa? Quando è stata prodotta? O quando è stata scartata perché rotta?”
“Diciamo che nella vita della nostra anfora ci possono essere tre date importanti: quella della nascita (quando qualcuno l’ha prodotta ed è quindi diventata un manufatto), quella della sua morte (quando si è rotta ed è stata buttata via ed è diventata un rifiuto) e quella della sua rinascita (quando gli archeologi l’hanno ritrovata ed è divenuta un reperto archeologico)”
“E queste tre date importanti come si possono stabilire?”
“La data di quando l’anfora è nata come manufatto si può stabilire con diversi metodi…”
L’esame prosegue. Ma da qui in poi non ve lo racconto, perché parla di sequenza stratigrafica, di tipologia, termoluminescenza e altre diavolerie che noi archeologi ci siamo inventati prendendo in prestito idee e metodi da altre discipline.
Però direi che fino a questo momento il nostro studente un bel 30 e lode se lo è meritato.
Voi che cosa ne dite?
Vivo a Siena, una città in cui è impossibile non essere circondati dalla storia. Non volevo fare l’archeologa fin da piccola, ma credo di averlo capito al momento giusto.
Ho legato il mio cuore a siti speciali in cui ho avuto e ho la fortuna di lavorare e sono un discreto topo di biblioteca. Ma una delle cose che preferisco fare è condividere le storie che leggo nella terra con i bambini: occhi trasparenti e domande spontanee mettono a nudo l’archeologia e non ammettono risposte vaghe!
Comment here