L’estate è senza ombra di dubbio la stagione dell’archeologo. Molti scavi riaprono, molti gruppi di lavoro si ritrovano e molte nuove idee sbocciano. Un po’ come tartarughe ci svegliamo dal letargo invernale e ci prepariamo ad affrontare nuovi quesiti e nuove avventure. Probabilmente siamo creature geneticamente predisposte a sopportare alte temperature, non trovo altra spiegazione logica, altrimenti non si capisce come sia possibile che dopo otto ore di lavoro passate chini sullo strato, siamo pronti a ripetere l’esperienza il giorno seguente.
Sapete cosa c’è? È che dopo un po’ il caldo non lo avverti più, sei talmente concentrato nel tuo lavoro che non ti rendi conto di nulla.
Solo la tua anomala e buffa abbronzatura “a maglietta” denuncia le ore e ore passate sotto il sole.
Ah l’abbronzatura, croce e delizia dell’archeologo. È vero, si assumono delle colorazioni bellissime e intense che neanche dodici sedute in un solarium ti donano, ma in limitate e bizzarre parti del corpo: la maledizione del “sorriso dell’archeologo” è la condanna alla quale quasi tutte le ragazze sono sottoposte. Tecnicamente si tratta dell’abbronzatura a mezzaluna che si forma sulla parte bassa della schiena, causata dalla risalita della maglietta quando ci si inginocchia per scavare. Immaginatevela!
Praticamente siamo come dei panda, a macchie: braccia, spalle, viso e fondo schiena abbronzati; gambe, collo e mani (perché dobbiamo usare i guanti) bianchicci…
E voi? Cosa state facendo? La scuola è già finita da più di un mese, quindi probabilmente vi state già godendo il mare, la montagna, la piscina; comunque vi state gustando le vostre meritate vacanze.
Visto che è estate, e che noi stiamo più o meno tutti partendo per gli scavi per raccogliere materiali per raccontarvi nuove storie, ho deciso di provare a suggerirvi un gioco. Non avete bisogno di molte cose per farlo e lo si può praticare ovunque, vi serve soltanto la vostra immaginazione e qualche oggetto.
Quello che voglio proporvi è una sorta di Cluedo senza tragici epiloghi, un “gioco” che gli
archeologi fanno continuamente: l’osservazione di un contesto.
Mi spiego. Ormai lo sapete, gli archeologi, come i detective, si fanno molte domande e cercano indizi per ricostruire un’azione, un evento avvenuto nel passato.
La prima mossa da compiere, come abbiamo già visto, è interrogare gli oggetti per capire la loro funzione e il loro utilizzo. Ma questo non basta, perché io devo comprendere più in generale l’evento, la storia che li ha visti protagonisti. È importante sì rendersi conto che un vaso è, ad esempio, un’anfora che serve per contenere l’olio, ma per ricostruire un frammento di storia è ancora più determinante accorgersi che quel vaso, insieme a molti altri uguali, si trova sott’acqua dentro il relitto di una nave.
Perché? Perché questo mi fa capire che l’olio veniva trasportato via mare da un luogo a un altro, quindi veniva commerciato, e che a volte, a causa del mare grosso, accadevano disgrazie come i naufragi.
Ho potuto raccontare questa piccola storia perché ho osservato il contesto in cui si trovava il vaso in questione.
Per dirla con parole difficili il contesto, in archeologia, è la situazione unica e specifica in cui un oggetto, o un insieme di oggetti, viene rinvenuto.
Gli archeologi non studiano solo i singoli oggetti, ma le relazioni e i rapporti spaziali, temporali e funzionali che intercorrono tra il singolo reperto, l’insieme di reperti e le tracce osservati al momento del loro ritrovamento.
Eh? Ma che significa? Avevo promesso un gioco e invece parlo complicato come a scuola?!
Aspettate che ci arrivo.
La vedete? Questa è una sedia. La conosciamo tutti, può avere tante forme diverse, ma serve sempre per lo stesso scopo: sedersi. Punto. È facile.
Se cerco quella stessa sedia in quest’altra foto, però, vedo che è associata ad altre sedie uguali, a un tavolo, a libri, quaderni e computer. Le cose cambiano. In questo caso non abbiamo di fronte una semplice sedia che galleggia indisturbata nello spazio, ma una scena un po’ più complessa che mi racconta una storia ben precisa: quella è una sedia di una sala studio, o di una stanza della biblioteca.
Non è finita. Se osservo quest’altra immagine ritrovo la mia famosa sedia, ma questa volta la relazione con gli altri oggetti mi suggerisce una situazione di un altro tipo: non siamo più in biblioteca, ma in una sala da pranzo.
Capite ora il significato di contesto? Bene, perché finalmente siamo arrivati al nostro famigerato gioco dell’estate.
Prendete alcuni oggetti che avete a disposizione, quelli che volete, e create una scena. Una volta preparato il tutto, chiamate i vostri amici e chiedete loro di capire l’evento che ha scatenato quella situazione.
Esempio. Siete al mare? Ammassate un po’ di sabbia, prendete una paletta, un secchiello e un fazzoletto bagnato dalle lacrime…
Adesso chiedete: “Cosa è successo?”
I vostri amici vi potranno dire, dopo aver osservato bene il contesto, che probabilmente un bambino ha pianto perché qualcuno ha distrutto il suo bellissimo castello di sabbia.
Di nuovo, di nuovo.
Creiamo un’altra scena: prendete la cartaccia di un gelato, una maglietta sporca di cioccolato (sì, avanti, lo so che ne avete almeno una…) e il famoso fazzoletto lacrimoso.
“Cosa è successo?” La mamma mi ha brontolato perché ho sporcato la maglietta pulita con il gelato.
Che vi dicevo? È un bel gioco e con un po’ di immaginazione si possono creare infiniti casi da sottoporre ai vostri amici.
E allora dai, giochiamo, è estate!
Io e l’archeologia non ci siamo amate fin da subito. Quando da bambina incontrai un’archeologa, capii che passare ore sotto al sole piegati, sporchi di terra e sudati non poteva fare per me. Ma come nelle migliori storie, gli amori più grandi nascono da scontri all’apparenza definitivi.
Da circa sette anni mi occupo di didattica, mi diverte molto cercare i linguaggi adatti e creare le esperienze giuste per coinvolgere i bambini anche i più scettici come lo era la sottoscritta tanto tempo fa.
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