È notte di festa sull’Olimpo. Zeus ha radunato tutti gli dèi per festeggiare i suoi cinquecento anni di regno e per l’occasione ha organizzato un ricevimento che di sicurò resterà scolpito negli annali celesti. Si respira un’aria frizzantina e spensierata, complice anche il nettare che scorre a fiumi tra gli invitati.
Tutti però attendono con ansia la sorpresa finale, il momento in cui Zeus mostrerà ai suoi ospiti la creatura che da mesi tiene nascosta nelle scuderie: il cavallo Pegaso.
Da quando Zeus si era vantato di aver catturato in Africa un animale diverso da tutti quelli che si erano mai visti e che sarebbe stato l’attrazione del suo giubileo, era diventato impossibile frenare le domande e le chiacchiere. Se arrivava a rinunciare alle aquile nebulose che cavalcava dall’inizio del suo regno e che a sentire lui gli portavano fortuna, c’era da aspettarsi un prodigio inaudito. Erano circolate le ipotesi più folli: gli abitanti dell’Olimpo non mancavano certo d’immaginazione, e il silenzio che Zeus manteneva sull’argomento non faceva che stuzzicare la loro impazienza.
L’attesa è però destinata ad essere delusa. La creatura che tutti aspettavano di poter vedere finalmente con i propri occhi è stata rapita. Ma c’è di più, tutte le cavalcature degli dèi sono state tramutate in statue.
Chi è il colpevole? Cosa è successo?
Dopo il primo volume della serie – pubblicata in Italia dalla casa editrice La Nuovafrontiera Junior – “Le indagini di Ermes” dal titolo “Il mistero di Dedalo”, Richard Normandon, professore e scrittore con una grande passione per la mitologia greca e per i gialli, torna in libreria con un secondo episodio: “Il caso Medusa” (copertina di Rita Petruccioli).
Ermes ed Eros sono anche in questo caso il Sherlock Holmes e il dott. Watson della situazione; il primo, astuto e attento detective, il secondo, pigro aiutante di Ermes e suo fedele compagno di giochi e di avventure.
Quando la scomparsa di Pegaso viene svelata e con essa la strana trasformazione in statue degli animali degli dèi, i sospetti dei due ricadono immediatamente su Medusa; solo lei avrebbe potuto con il suo sguardo pietrificarli. Ma per quale motivo?
È l’inizio di una nuova e incalzante indagine che porterà Ermes a prendere in esame una serie di possibili indiziati, per poi arrivare in conclusione ad una inaspettata e sconcertante verità che, suo malgrado, sarà costretto a nascondere al resto dell’Olimpo.
Richard Normandon è, a ben vedere, l’inventore di un genere letterario ibrido che funziona: il giallo mitologico. La cronaca rosa dell’Olimpo, con il suo carico di amori, gelosie, tensioni, ripicche, magie e malizie si mescola con l’atmosfera di ipocrisie e sospetti, colpi di scena e delitti, indagini e pedinamenti tipici dei romanzi gialli. E l’accostamento anziché stridere e urtare la sensibilità del lettore, appassionato dell’uno o dell’altro genere, incuriosisce e diverte. Merito anche della scrittura incalzante e calibrata dell’autore, capace di ricreare in maniera vivida gli scenari olimpici e di tratteggiare con estremo realismo i personaggi che vi agiscono.
Spoiler: il prossimo episodio della serie, già pubblicato in Francia dalla casa editrice Gallimard, avrà a che fare con… gli Argonauti! Su cosa questa volta Ermes si troverà a dover indagare?
Lettori e lettrici italiane, ci tocca aver pazienza.
Il caso Medusa
Chi ha osato rubare Pegaso, il cavallo alato che Zeus si vantava di aver catturato in Africa, durante i festeggiamenti in corso sull’Olimpo? E com’è possibile che tutte le cavalcature degli dei siano state pietrificate? Ermes, il dio detective, non ha dubbi: c’è lo zampino di Medusa, la sola che ha il potere di trasformare in pietra chi incrocia il suo sguardo. Ma perché commettere un simile crimine? L’arguto Ermes e il suo fedele compagno di avventure Eros dovranno indagare sui molti segreti che si celano dietro la leggendaria e terribile Medusa, fino a scoprire un inimmaginabile intreccio di gelosie e vendette che coinvolge le divinità dell’Olimpo.
Età di lettura: da 10 anni.
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Mi chiamo Giovanna e vivo in Puglia. Ho sempre avuto le idee molto chiare: a 8 anni sapevo già che avrei fatto l’archeologa. Per anni mi sono divisa tra gli scavi e montagne di mattoni, tegole e coppi. Chissà, forse sono fatta un po’ di argilla…
Poi, ho capito che dovevo raccontare l’archeologia ai bambini e dare un senso, una prospettiva al mio lavoro. E allora ho scoperto una cosa fondamentale: le storie sono l’unica cosa che ci lega al passato e al futuro e che nessuno potrà mai portarci via.
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