Il guest post di questa settimana è a firma di Maria Sole Distefano che ci racconta il suo primo “impatto”, non tanto con la terra dello scavo, ma con l’entusiasmo e la curiosità dei più piccoli. Buona lettura!
Sin da quando ero bambina ho desiderato diventare archeologa. Quando mi sono ritrovata per la prima volta a contatto con la terra, con gli oggetti che ne venivano fuori, e sì, anche con gli animaletti che vi abitavano, ho provato un entusiasmo che non avevo mai provato prima di allora. Non ho avuto paura degli animaletti, né di “sporcarmi le mani”, anzi mi sembrava di sognare ad occhi aperti.
Un’altra cosa che mi è sempre piaciuta è stare a contatto con i bambini e, crescendo, ho scoperto che io piacevo a loro, che stavano volentieri con me. Così, quando allo scavo di Vignale si decise di ospitare un’intera classe della scuola elementare di Riotorto e Betta mi chiese se potessi occuparmi del lavaggio dei cocci con loro, la mia prima reazione sarebbe dovuta essere: WOW!!! Certo che sì! Non vedo l’ora!!!
Invece, sul momento, credo che i miei occhi si siano riempiti di puro terrore: come fare ad attirare l’attenzione di una decina di bambini? Farli stare seduti, fermi? Con le mani immerse nell’acqua fredda a lavare via la terra da piccoli pezzetti di ceramica che, per quanto ne sapevano, potevano anche essere buttati via? Come spiegare loro in maniera semplice e concisa che quei pezzetti, invece, erano utilissimi per noi archeologi perché ci aiutavano a capire tante cose delle persone che abitavano lì tanto tempo prima e ci permettevano di ricostruirne la storia?
Con immenso stupore mi sono resa conto che bastava trovare il linguaggio giusto, perché i bambini non solo mi ascoltavano, ma si accapigliavano letteralmente per prendere i cocci e mi sommergevano di domande, “avidi di sapere”, come solo i più piccoli sanno essere. Alla fine della giornata loro erano sporchi e io stremata: tutti, però, con un grandissimo sorriso stampato in faccia!
Lo stesso stupore l’ho provato poco tempo fa, rispondendo alle domande di mio nipote: Alessandro ha 8 anni e da poco ha studiato a scuola l’uomo di Neanderthal; così, dato che ha una zia archeologa, si è subito affrettato a domandarmi se nel mio scavo avessi mai trovato uno scheletro di Neanderthal. Di fronte al mio “no” non si è comunque scoraggiato, anche perché aveva tante altre domande da farmi! Io gli ho raccontato che nel mio scavo avevamo trovato tante cose che appartenevano a persone vissute molto tempo dopo l’uomo di Neanderthal:
“Sai, Ale, lì ci abitavano i Romani e…”.
“Ah sì, certo zia, lo so chi sono i Romani! Ma c’erano anche gli scheletri? E che attrezzi usavano i Romani?”, e via a spiegare e a raccontare che cosa ci facevano a Vignale…
Alla fine del mio racconto, pensavo che ne avesse avuto abbastanza di storie di terra, di oggetti e di ossa, e invece no! Sono riuscita a scamparla solo dietro a una promessa: “Quando torno a scavare l’anno prossimo, se vuoi ti porto con me, così per un giorno anche tu sarai un archeologo!”.
L’entusiasmo e l’eccitazione che ho visto nei suoi occhi non si possono descrivere.
Sapere poi che, tempo dopo, parlando di me con la sua mamma ha detto: “Eh, ma la zia è più intelligente di tutti: lei fa l’archeologa!”, dà una certa soddisfazione…
Archeologa specializzata alla Scuola di specializzazione in Beni Archeologici Sapienza – Roma
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