Se c’è una cosa per cui gli archeologi e le archeologhe vanno davvero pazzi sono le buche. Che siano in spiaggia o in campagna o in città, il loro sguardo indagatore e curioso è sempre rivolto verso il basso alla ricerca di un qualsiasi crepaccio nella terra o nell’asfalto attraverso cui sbirciare cosa c’è sotto. Ciò che li assilla costantemente non è tanto il pensiero del passato lontano che riaffiora dalla terra, ma è il desiderio di riscoprire e rendere manifesto ciò che gli altri non vedono e di cui non percepiscono la presenza, ma che c’è. Le buche sono una sorta di passaggio segreto verso una dimensione altra, terribilmente affascinante e dal richiamo irresistibile.
La stessa cosa accade ai piccoli e buffi protagonisti del bellissimo albo della scrittrice e illustratrice svedese Emma Adbåge La Buca, pubblicato in Italia da Camelozampa Editore e vincitore del Premio Andersen 2020 come miglior libro 6/9 anni.
Anche loro amano le buche, anzi la Buca, un’enorme voragine che da un sacco di tempo si trova nel cortile della scuola. Chi l’abbia svuotata non si sa, ma col passare degli anni si è riempita di arbusti, cespugli, radici, sassi e tantissimi altri doni della natura che l’hanno resa un posto magico.
Puntualmente ogni giorno, al suono della campanella che annuncia l’intervallo, i bambini e le bambine si precipitano fuori dalle aule e corrono verso la buca.
È piena di salite e discese, di rami e di sassi, e in un punto c’è del fango giallo che non finisce mai! Una volta Vibeke ha provato a scavare per tutto l’intervallo, ma il fango non finiva proprio mai!
Tutti i giochi sono possibili al suo interno: ci si può nascondere, fingere che la grande radice sia un negozio, arrampicarsi lungo le salite e le discese e soprattutto si può SCAVARE. Ma come è bello affondare le mani nella nuda terra e scavare, inoltrarsi nelle profondità del terreno e pian piano dimenticarsi di tutto il resto. È una sensazione unica che ha un che di mistico e di terapeutico, un esercizio per la mente e per lo spirito, un’iniezione di vitamine per la fantasia. No, chi non l’ha provata non può capirla.
E la maggior parte degli adulti, eccezion fatta per gli archeologi appunto, questa sensazione non l’hanno mai vissuta sulla propria pelle e proprio per questo guardano di sbieco e con sospetto i fans delle buche. Dove questi ultimi riescono a vedere la scoperta, il gioco, la gioia di muoversi ed esplorare, i grandi vedono soltanto il pericolo e il proibito.
Eva e gli altri maestri della scuola sono convinti che prima o poi qualcuno dei bambini si farà male a furia di rotolarsi nella buca. E in effetti dopo un po’ qualcuno si fa male, ma inciampando nelle stringhe delle scarpe lungo le scale dell’ingresso.
A quel punto scatta il primo divieto: non si può più giocare nella buca, a ricreazione ci si dovrà accontentare delle altalene e dei palloni.
Poco male, se la buca è vietata c’è pur sempre il bordo che è ancor più divertente! Ci si può sedere a penzoloni con le gambe sospese sul vuoto, si può fare un percorso ad ostacoli o sfidarsi a chi lancia più lontano la corda. Ma l’ottusità dei grandi è davvero spropositata, persino nell’avanzata Svezia dove la felicità dei bambini e delle bambine è più importante di tante altre cose ritenute di minor valore.
Il problema della buca va risolto alla radice una volta per tutte, il gioco sta diventando troppo rischioso. Non c’è più tempo da perdere.
Il lunedì non c’è nessuna buca. Non c’è nessun bordo. È tutto piatto e duro! Nessun posto dove rotolarsi. Nessun posto dove arrampicarsi. Nessun posto dove scivolare sulle ginocchia, dove fare il percorso a ostacoli o giocare al burrone infuocato. Si può solo camminare dritto!
I bambini sono ammutoliti e sconfortati. Guardano là dove fino a qualche giorno prima c’era la buca e non riescono a muoversi e a spiccicare parola. Ma il loro spaesamento dura solo pochi attimi. All’improvviso si rendono conto di una cosa. In un altro punto del cortile c’è …
Cosa ci sia lo scoprirete da soli a fine libro, vi lascio pregustare la sorpresa.
I punti di forza di questo albo sono davvero tanti, a cominciare dalla capacità naturale che l’Autrice ha di mettere a confronto la straordinaria e inesauribile capacità di immaginazione e adattamento dei bambini, capaci di eleggere a miglior gioco possibile un buco nel terreno e le sue varianti, e la presunzione cieca degli adulti convinti di sapere in anticipo come realmente la situazione si evolverà. A venirne fuori perdenti e ridicolizzati sono ovviamente i grandi, che in tutta questa storia – diciamolo – non fanno una bella figura.
Poi c’è la voce narrativa, spontanea e schietta, affidata ad una delle bambine del gruppo della buca. È lei a raccontarci la storia e a restituirci, senza recriminare o giudicare, il punto di vista degli adulti sulla faccenda, semmai con quella commiserevole incredulità con cui i bambini spesso guardano al mondo dei grandi.
E poi ci sono le illustrazioni, esse stesse un racconto nel racconto, un affresco realistico e minuzioso di quanto accade nel cortile durante la ricreazione: i bambini, con cappelli e guanti (eh sì, in Svezia si esce a giocare all’aria aperta anche quando fa freddo) da una parte, che si muovono indaffarati e operosi attorno alla buca, e i maestri, imbronciati e riluttanti, che dall’alto guardano preoccupati quello che accade sotto, là dove non osano scendere. Un po’ come gli umarell che a bordo cantiere osservano da fuori gli operai o gli archeologi al lavoro, alternando manifestazioni di stima e vicinanza a lamentele per il troppo rumore o l’eccessiva lungaggine degli interventi.
A predominare sulla policromia vivace delle capigliature e abbigliamenti dei bambini e delle bambine ci sono il grigio del cielo nordico d’inverno e soprattutto il marrone della terra, l’elemento naturale in cui i piccoli esploratori si muovono con naturalezza, come se galleggiassero sicuri e felici nel ventre materno.
E a noi archeologi e archeologi, bambini mai per davvero cresciuti e con il pallino delle buche, i libri che celebrano la meraviglia della terra e le piccole grandi sorprese che è in grado di disvelare solo a chi sa guardare, piacciono un sacco.
La Buca
Nel cortile della nostra scuola c'è una buca. Noi la chiamiamo la Buca. Nella Buca si può giocare a qualsiasi cosa: a mamma orsa, a capanna, a nascondersi, al negozio... a tutto! Tutti amano la Buca, tranne i grandi. I grandi odiano la Buca.
Età di lettura: da 4 anni.
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Mi chiamo Giovanna e vivo in Puglia. Ho sempre avuto le idee molto chiare: a 8 anni sapevo già che avrei fatto l’archeologa. Per anni mi sono divisa tra gli scavi e montagne di mattoni, tegole e coppi. Chissà, forse sono fatta un po’ di argilla…
Poi, ho capito che dovevo raccontare l’archeologia ai bambini e dare un senso, una prospettiva al mio lavoro. E allora ho scoperto una cosa fondamentale: le storie sono l’unica cosa che ci lega al passato e al futuro e che nessuno potrà mai portarci via.
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