Guest post

Fra il mare e la villa di Nerone: storia di un’archeologa e dei bambini che le “insegnarono a insegnare”

Silvia è una giovane archeologa dottoranda dell’Università di Roma “La Sapienza”.

Oltre alla passione per la ricerca però, e proprio grazie ad una piccola grande sfida che l’ha vista impegnata a raccontare il suo mestiere ad un variegato gruppetto di bambini, coinvolgendoli in una settimana intensiva di laboratori didattici, Silvia ha fatto un’altra bella scoperta: ha imparato qualcosa in più su di sé e sul senso più bello del nostro mestiere. E ce lo racconta in questo post…


Quando ci sono di mezzo i bambini, bisogna mettere nel conto che non si può mettere niente nel conto. Loro ti spiazzeranno, sempre e comunque.

Cominciamo dall’inizio. Era un pomeriggio di Aprile e navigavo su internet assai scetticamente, fra mille annunci di lavoro inutili e non adatti al mio profilo.
A un tratto, mi sono soffermata su un annuncio che, non ci volevo credere, rispecchiava il mio sogno di sempre: “Associazione culturale cerca una giovane archeologa per laboratori didattici di archeologia sulla spiaggia di Lido dei Pini, Luglio”.
Mi armo di coraggio, chiamo, vado, rimango bloccata sul treno, incontro persone strane….ma decido che sì, voglio fare queste due settimane, fare 6 km in bici andata e ritorno da Lavinio e Lido dei Pini e dormire nella sede dell’associazione. Del resto, a parte l’assenza di frigo, la sede era davvero confortevole, rispetto alle condizioni di alloggi da scavo a cui siamo abituati.
Poche settimane prima mi preparo, svaligio la biblioteca Centrale dei Ragazzi con libri di giochi, di pedagogia, di storia illustrata. Il gioco va preso sul serio, la coordinatrice dell’associazione è stata chiara: sarà tutto nelle mie mani, dall’idea al materiale.

Arriva il grande giorno, completamente sola, con 15 bambini dai 4 ai 12 anni e un grande rivale…il mare!
Per quanto il sogno di ogni bambino possa essere quello di fare l’archeologo – anche se poi sono sempre adulti che hanno scelto di fare economia a dirtelo – come attirare i bambini di età tanto diverse, quando c’è un elemento acquatico che…insomma, vuoi mettere??
Tuttavia, ci riusciamo e, aiutata dalla coordinatrice, inizio l’attività di scavo simulato.
Nascondo oggetti nella sabbia e in ogni quadrante/squadra inizia una gara all’ultimo sangue a chi trova più cose e in meno tempo…menomale che gli avevo detto che il lavoro dell’archeologo è un lavoro di pazienza, e soprattutto un lavoro di équipe! Litigi furiosi anche all’interno delle stesse squadre! Ho la conferma che, dai nove anni in su, l’unico modo per attirare l’attenzione è proporre “gare”. Imparo anche, sin dal primo giorno, a riconoscere i cosiddetti “saputelli”, ragazzini già molto preparati, che nel complesso davano molta linfa al gruppo perché prendevano il laboratorio come un “ripasso di storia divertente”.

 

image

 

Alla fine della giornata, la prima “frase-spiazzo”, da parte di un ragazzino, pelle scura e occhialetti rossi da ragioniere: “A mae’, ma se guadagna tanto a fa’ l’archeologo?”.
Primo monolite sulla testa. “Ehm, uhm, dunque…no, tesoro, non si guadagna molto”.
“Scusa, allora che lo fai a fa’?”.
Eh.
Ma i bambini, quelli che volevano fare gli archeologi a tutti costi, quelli puri che vivono nel mondo dei balocchi e dei dolciumi non esistono ad Anzio?
In un modo o nell’altro però si divertono e già qualcuno alla fine della giornata mi chiede trepidante se io ci sia anche il giorno dopo. Silvia vs bimbi terribili 1 a 0.

Secondo giorno, piccola lezione su come si vestivano gli antichi greci e romani, e travestimenti maldestri, a dire il vero, perché il materiale a disposizione non era molto adatto.
Ci divertiamo però a realizzare con cura spilloni variegati per sesso e rango, scudi e gladii.
Inutile a dirsi, è iniziata una lotta sfrenata a colpi di spadini e granelli di sabbia negli occhi.
Alla fine della giornata, Occhialetti Rossi si riavvicina…”Maestra ma…ce l’hai i fiji (figli, n.d.r)?”
“No tesoro, non ancora!” Risposta: “E quando li voi fa’, a cinquant’anni?”.
Secondo monolite sulla testa. Il ragioniere ha fatto bene i suoi conti: “fa l’archeologa, non guadagna, no party, no figli”. Non farà l’archeologo, ma la logica aristotelica a Occhialetti Rossi non manca.

Terzo giorno: scriviamo come gli antichi!
Propongo loro modelli di alfabeto sumero, egizio, greco, in forme colorate e invitanti. Il gioco riscuote successo e tiene buoni grandi e piccini, aiutati proprio dai più grandi, i quali nel frattempo hanno già riscritto intere stele di Hammurabi.
Immancabile il commento di Mr. Occhialetti Rossi a fine giornata: “mmazza quanto ce voleva pe’ scrive, ma non si stufavano prima?”.

 

image

 

Quarto giorno…il tempo peggiora e l’unico modo per non far loro sentire freddo è proporre giochi movimentati che facciano sfogare questo bisogno irrefrenabile di gara… Ed ecco qui che, vestiti di tutto punto “come l’antichi”, spiego loro il gioco del Kottabo, con il quale gli antichi greci si rilassavano alla fine di un bel banchetto, tentando di centrare, con l’ultima goccia di vino nel loro calice, un grosso cantaro posto a poca distanza.
Prima del gioco vero e proprio, il giorno prima c’era stata la preparazione dei vasetti e delle palline di creta che avrebbero sostituito le gocce di vino (non potevo certo farli alcolizzare sulla spiaggia).

 

Un vento assurdo ha acceso la già vivacissima gara, che ha coinvolto tutti. I più piccoli, ovviamente, nonostante i miei “aiutini”, non hanno centrato neanche una volta il cantaro, ma è bastato portare a casa i loro vasetti autonomamente modellati per sentirsi trionfatori indiscussi.
A fine giornata, stavolta Occhialetti non dice niente. Ride, stanco e sudato.

Quinto giorno, nuovamente cielo grigio; correva l’anno in cui girava sui social network il motto “Novembre, esci da questo Luglio!”. Incuranti della tempesta, parte una gara all’ultimo sangue al “Juego de pelota”, un antico gioco delle civiltà precolombiane.

 

Il pomeriggio invece, lo abbiamo dedicato a un ripasso delle cose imparate e a piccolissime nozioni di storia antica, in vista del gioco del giorno dopo: il gran finale.

La mattina del sesto giorno, un bel memory con le immagini di “Vips” dell’antichità, e maggiorazione dei punti a chi, oltre a indovinare dove stava la carta uguale, mi diceva due parole su quel personaggio.
Un bimbo paffuto, di fronte all’immagine di Nerone, esclama trionfante “Ao’, ma io a questo l’ho già visto!
“Esatto” esclamo altrettanto trionfante “è proprio stampato sul cartello d’ingresso di Anzio!”
Mi piace tantissimo pensare che a volte basti davvero poco per accendere un link all’interno della mente di una persona: basta il minimo input per trasformare la semplice passiva osservazione di qualcosa a cui non diamo peso, in una nozione acquisita.
Con il gioco finale, ossia una bella caccia al tesoro per tutto lo stabilimento, a furia di domande e indovinelli storico-archeologici, i vincitori hanno avuto nuovamente il faccione di Nerone ad annunciargli il premio: un banale ma apprezzatissimo GELATONE.

Occhialetti Rossi torna bambino, di fronte al gelato. Si toglie la maschera da ragioniere, si toglie le convenzioni di cui è imbevuto, suo malgrado.
Ed io rifletto ancora sulla sua domanda del primo giorno “perché fai archeologia”?
Me lo chiedo spesso ultimamente, quando a volte odio questo mestiere che quasi non mi sembra tale. Mi sono ricordata del perché lo scelsi, allora: fu grazie al mio libro di storia, quello di Eva Cantarella. Un libro pieno di contenuti, ma anche pieno di “figure” con oggetti lontani, specchio di culture ed eroi. E una professoressa severissima, che “scavava” nelle ragioni degli eventi, come poi avrei fatto io.

Ho compreso che no, non è così disonorevole che un archeologo faccia l’insegnante. L’insegnante, non il professore, perché la vera sfida è far amare la storia non a chi ha già scelto, ma a chi sceglierà come guardare il mondo che lo circonda.

E i bambini ti spiazzano, come dicevamo all’inizio, anche perché molto meno di quello che noi crediamo, ci immaginano coraggiosi Indiana Jones in cerca di chissà quali Golden Treasures.
I bambini meritano la verità come tutti i cittadini. E la verità è semplicemente racchiusa nell’oggetto che li circonda, o nell’oggetto lontano che in fondo gli somiglia, o in antichi alfabeti con simboli strani, come gli alfabeti segreti con cui scrivere agli amici.
La storia è già bella di per sé, non serve aggiungere altro.

Una mamma, all’uscita del Centro Estivo, mi ha detto: “Ah sei tu Silvia. La famosa, Silvia”.

Ecco, non importa se Occhialetti Rossi, o nessun altro dei bambini del centro estivo farà l’archeologo da grande.  Importa che nella storia di un bambino, per qualche giorno sono entrata per incidere un piccolo graffito di coscienza del suo passato, e quindi di sé.

E anche questa, scusatemi, è una grande scoperta.

 

Comment here