Nel Cinquecento, il termine tedesco Wunderkammer – in italiano ‘Camera della meraviglie’ – veniva utilizzato per indicare un particolare ambiente al cui interno i collezionisti raccoglievano oggetti rari come carte geografiche, monete, cammei, quadri, oggetti archeologici, esemplari di storia naturale e altro. Insomma, l’antenato del moderno museo.
A ben vedere qualsiasi stanza, anche un’aula scolastica può essere trasformata in una camera delle meraviglie. In che modo? Basta proiettare sulle pareti riproduzioni di opere e quadri famosi e sollecitare gli studenti ad interagire con essi in modo attivo e creativo, utilizzando tutti i sensi oltre la vista.
Qualche settimana fa ho potuto provare l’esperienza assai stimolante di ritrovarmi all’interno di una virtuale Wunderkammer partecipando ad un workshop di ‘educazione con l’arte’ tenuto da Marco Peri, ricercatore, storico dell’arte ed educatore museale, ideatore di progetti museali il cui obiettivo è proprio quello di creare connessioni solide ed efficaci tra il pubblico (adulti e bambini) e l’arte, in particolare quella contemporanea.
Il fine ultimo del lavoro di Marco è quello di far comprendere ad operatori e insegnanti l’opportunità di spostare il focus dagli oggetti a chi guarda e potenziare le capacità percettive e interpretative dei visitatori di un museo, sollecitandoli a usare la creatività per rapportarsi con l’opera d’arte.
Per cercare di capire meglio la sua idea di didattica come ‘pratica educativa’, ho posto a Marco qualche domanda e credo che le sue considerazioni siano ricche di spunti di riflessioni anche per quegli archeologi che, come noi, lavorano spesso a contatto con i bambini.
“Il Museo è un’istituzione permanente senza scopo di lucro, al servizio della società e del suo sviluppo, aperta al pubblico, che effettua ricerche sulle testimonianze materiali e immateriali dell’uomo e del suo ambiente, le acquisisce, le conserva, le comunica e specificamente le espone per scopi di studio, educazione e diletto.”
Questa è la definizione di museo dell’ICOM (International Council of Museums). Qual è secondo te il ruolo che un museo oggi riveste nella società contemporanea?
Tra le istituzioni culturali del nostro tempo il museo è certamente una delle realtà più promettenti per la sua capacità di interagire direttamente con persone di tutte le età e di ogni provenienza.
Per esercitare al meglio il suo ruolo nella società il museo contemporaneo dev’essere un vivo centro di produzione culturale, autorevole ed indipendente, capace di creare, promuovere e diffondere conoscenza.
Inoltre io sono certo che il museo rappresenti un mondo di opportunità educative straordinarie e possa essere il luogo dove sperimentare nuove metodologie per l’apprendimento e l’esperienza.
Spingendosi avanti e indietro lungo la linea del tempo, ogni museo è un ipertesto di oggetti materiali ma soprattutto un infinito deposito di connessioni tra idee, storie e memorie che scaturiscono dalle collezioni esposte, tutto ciò costituisce un patrimonio ricchissimo per stabilire scambi significativi con molti temi del nostro presente.
A noi di ArcheoKids è particolarmente caro il tema dei ‘musei a misura di bambino’, ossia dotati di spazi, strumenti, supporti informativi, attività e naturalmente personale qualificato in grado di fare del museo uno spazio di crescita ed educazione per i bambini.
Dal tuo punto di vista di storico dell’arte ci sono in Italia musei di questo tipo? E se c’è un ritardo – come è oggettivo che ci sia rispetto al resto d’Europa e non solo – come credi si possa colmare per contribuire a diffondere una cultura museale attenta alle esigenze dei più piccoli?
Occupandomi di didattica museale ho uno sguardo privilegiato sul tema dell’accessibilità dei bambini ai contenuti esposti, purtroppo ciò che riscontro è che nonostante i bambini e le scuole siano tra i principali utenti del museo, ai loro bisogni viene data scarsa attenzione nella progettazione degli allestimenti. Per esempio sono frequenti vetrine e opere mal disposte se osservate da un’altezza bambina, oppure apparati divulgativi che utilizzano un linguaggio specialistico o troppo carico di informazioni per “avvicinare” i più piccoli ai contenuti.
È necessario ripensare ogni mostra in senso didattico per offrire a ciascun visitatore la possibilità di fare la propria esperienza di conoscenza in modo autonomo.
La parola chiave del museo contemporaneo dev’essere “inclusivo”, cioè un luogo capace di favorire l’accessibilità per tutti i pubblici, sia in senso fisico che riguardo i contenuti che espone.
Il ruolo educativo offre un servizio indispensabile in questo senso, perciò è necessario che sia svolto da persone preparate e motivate che oltre ad interagire con il pubblico, sappiano anche supportare il ruolo dei curatori nelle fasi di allestimento.
Seguendo uno dei tuoi workshop, “La camera delle meraviglie”, ho potuto constatare che per te coinvolgere i visitatori all’interno di un museo significa invitarli a mettersi in gioco con il corpo oltre che con la mente, sottrarli ad un esercizio di fruizione passiva dell’opera d’arte e invitarli ad interagire con essa con tutti i sensi.
Da archeologa mi sono chiesta se questo approccio possa funzionare anche nei musei archeologici, notoriamente più legati ad un modello antiquario delle esposizioni, spesso affollati di vetrine e con meno spazi a disposizione e con un filtro reale – che è appunto quello del vetro – tra visitatore e oggetto. Cosa pensi a riguardo?
È centrale recuperare per i visitatori del museo un ruolo attivo nella costruzione dei significati, coinvolgere ogni individuo in modo globale. L’atteggiamento prevalente nelle visite guidate è di privilegiare gli aspetti cognitivi e razionali trascurando invece tutta la sfera emotiva e sensoriale di ciascuna persona.
Nel contesto archeologico occorre fare lo sforzo di portare i contenuti da trasmettere su un piano estetico più coinvolgente, che sappia mettere in equilibrio gli aspetti razionali e quelli emotivi, dando spazio alle sensazioni, alle percezioni fisiche e all’immaginazione come strumenti validi per produrre conoscenza.
L’obiettivo è abitare il museo in modo più creativo, superando lo stereotipo che lo considera un luogo noioso per trasformarlo invece in un ambiente in cui vivere esperienze uniche e trasformative.
Immagina di essere in un museo archeologico. Scegli tu quale, poco importa. Ti viene affidato un gruppo di bambini di età compresa tra i 7 e i 10 anni.
Tre consigli pratici per trasformare la visita al museo in un’esperienza di conoscenza e gioco indimenticabile e assolutamente non convenzionale.
Un buon progetto didattico dovrebbe preparare le condizioni perché ogni partecipante possa fare le proprie scoperte e dovrebbe essere ideato in modo che siano gli oggetti esposti a generare nei bambini domande e commenti. L’obiettivo dev’essere imparare a vedere di più, a sentire di più, condividendo insieme scoperte straordinarie.
Visitare il museo significa viaggiare nel tempo e nello spazio, bisogna sollecitare la curiosità dei bambini e lasciare che possano esplorare liberamente, usando tutti i sensi per cogliere le storie che si nascondono intorno agli oggetti.
Inoltre l’esperienza educativa al museo non dovrebbe assomigliare in alcun modo alla scuola, cioè non deve ripetere le stesse modalità di apprendimento scolastico ma offrire attività basate sull’esperienza concreta, sull’incontro vivo e diretto con gli oggetti concreti che il museo ospita.
Con i bambini e le bambine occorre ripensare i percorsi, perché è sempre meglio concentrarsi a lungo su poche opere piuttosto che per poco tempo su tante opere.
Probabilmente un’esperienza assolutamente non convenzionale è andare al museo per osservare una sola opera… ma con tante prospettive differenti.
La mia impressione è che la didattica dell’arte in Italia sia in uno stadio più avanzato e maturo rispetto a quella archeologica. Una maggiore riflessione teorica, una più accentuata sperimentazione e capacità di contaminazione dei linguaggi artistici e figurativi, figure professionali con alle spalle una formazione adeguata e una maggiore consapevolezza del proprio ruolo educativo, spazi dedicati (penso al Laboratorio d’Arte del Palazzo delle Esposizioni a Roma o ai servizi educativi del MUST, il Museo Storico della Città di Lecce). Sei d’accordo?
Certamente il mondo dell’arte offre opportunità educative straordinarie, ma non credo che ci siano grandi differenze negli strumenti e nelle azioni che si possono mettere in atto nel museo d’arte rispetto al contesto archeologico.
In entrambi i casi abbiamo a che a fare con oggetti significativi che sono traccia della storia e del pensiero umano e c’è necessità di una mediazione sensibile e attenta agli interrogativi che gli oggetti generano nel pubblico.
Nessuna opera è capace di comunicare da sola perciò è auspicabile che ci siano operatori e operatrici museali che sappiano interpretare al meglio il proprio ruolo educativo, cioè permettere – a ciascuno con la propria conoscenza e sensibilità – di compiere al museo un’esperienza coinvolgente e significativa.
Storici dell’arte, archeologi e operatori che a vario titolo lavorano nei servizi educativi, il più delle volte sono carenti nelle competenze basilari per l’educazione. Possedere conoscenze accurate sui contenuti del museo è ritenuto l’unico requisito per offrire un servizio didattico qualitativamente rilevante, ma è necessario rafforzare le proprie competenze nell’“arte di educare”, approfondire i metodi e gli strumenti della “didattica” intesa come pratica educativa.
Tra i tuoi progetti futuri ce n’è qualcuno che avrà a che vedere con qualche museo archeologico e che possa interessare noi archeologi?
Il prossimo autunno sarò al museo di Villa Giulia a Roma con il progetto *nuovi occhi per l’archeologia*. Sarà un laboratorio per archeologi e docenti per ripensare i metodi di trasmissione della conoscenza e ricercare insieme nuove possibilità comunicative.
Attraverso diverse azioni, attività e giochi che faremo nelle sale espositive, i partecipanti potranno superare la dimensione “passiva” tipica della visita guidata tradizionale, per esplorare i contenuti del museo con un punto di vista più coinvolgente.
*Nuovi occhi* è un laboratorio che ho sviluppato soprattutto nei musei d’arte come modalità dirompente per conoscere le opere secondo una pluralità di linguaggi, dal teatro alla musica, dalla poesia alla performance.
Nel museo archeologico sarà un esperimento per ricercare collettivamente nuove possibilità d’incontro tra il pubblico e i contenuti esposti.
Mi affascina molto sperimentare l’approccio che ho maturato nei musei d’arte e riscontrare quanto sia funzionale nel contesto archeologico, in futuro spero di estendere più collaborazioni in questa direzione.
Tema: archeologia e bambini. Scegli un quadro, una scultura, un oggetto antico che, a tuo parere, ben sintetizza questo binomio.
Spesso il nostro sforzo di mediazione si concentra nel rendere “semplici” argomenti di una certa complessità, invece dovremo cercare di coinvolgere i bambini e le bambine collegando maggiormente l’esperienza al museo con il loro quotidiano. In un’epoca di straordinario movimento e simultaneità di immagini, insegnare ai bambini la capacità di osservare attentamente, concentrando il loro sguardo su immagini statiche come gli oggetti conservati nel museo, è un contributo indispensabile per la loro crescita.
Per avvicinare i più piccoli all’archeologia bisogna raccontare loro più storie e meno Storia, i bambini sono naturalmente affascinati dalle storie, le narrazioni efficaci colpiscono la loro attenzione e li rendono attenti e curiosi.
Un esempio molto adatto è la storia di Medusa, i bambini restano incantati dalle sue vicende e dal coraggio di Perseo che la sconfisse.
Occorre abbandonare i tecnicismi e gli argomenti per “addetti ai lavori” e ritrovare le infinite possibilità narrative che possono svilupparsi da qualsiasi opera del museo.
Anche un’epigrafe o un frammento ceramico possono esercitare un grande fascino se diventano parte di una storia che ha per protagonisti attivi i bambini stessi.
Mi chiamo Giovanna e vivo in Puglia. Ho sempre avuto le idee molto chiare: a 8 anni sapevo già che avrei fatto l’archeologa. Per anni mi sono divisa tra gli scavi e montagne di mattoni, tegole e coppi. Chissà, forse sono fatta un po’ di argilla…
Poi, ho capito che dovevo raccontare l’archeologia ai bambini e dare un senso, una prospettiva al mio lavoro. E allora ho scoperto una cosa fondamentale: le storie sono l’unica cosa che ci lega al passato e al futuro e che nessuno potrà mai portarci via.
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