Questa settimana finisce la scuola e iniziano le tanto attese vacanze estive. Ricordo che negli ultimi giorni di scuola le lezioni erano tassativamente abolite, gli insegnanti ci lasciavano molta libertà, al massimo ci leggevano storie o racconti e si passava gran parte del tempo a giocare o a condividere i progetti per le vacanze imminenti.
Per questo ho deciso di raccontarvi una storia questa volta, un breve racconto con personaggi inventati, ambientato da qualche parte nella Roma Antica.
Buona lettura.
Antea e Cornelia erano due amiche inseparabili, facevano sempre tutto insieme: mangiavano insieme, giocavano insieme, si lavavano i capelli insieme e venivano anche sgridate insieme, soprattutto quando nascondevano i calzari del povero Bulbus, il vecchio giardiniere della domus, che passava tutto il giorno disperato a cercarli. Secondo la nonna di Antea le due bambine non riuscivano a stare separate perché erano nate lo stesso giorno dello stesso mese dello stesso anno, quindi era come se fossero più sorelle che amiche.
Cornelia aveva dei lunghi capelli castani che Antea si divertiva a pettinare e acconciare con spilloni di osso, un po’ invidiava quei bei capelli lisci perché lei aveva dei ricci neri indomabili, ma Cornelia non la faceva mai sentire a disagio e spesso le decorava la pazza chioma con
fiori di ogni genere che si incastravano perfettamente in quei fusilli bruni.
Quando Antea veniva riempita di fiori si sentiva un po’ una signora e allora passeggiava lungo il colonnato del peristilio, il giardino interno, con aria altezzosa e disinvolta, seguita dai commenti antipatici e gelosi degli altri ragazzini.
Una volta, durante una di queste passerelle fiorite, Siro, un bimbo di un anno più piccolo delle due, più irritato del solito perché era stato appena brontolato per aver fatto cadere un’intera pila di piatti, riversò la sua rabbia sulla povera Antea dicendole sgarbatamente:
“Guarda che è inutile che ti atteggi a gran signora, tanto sei e sarai sempre soltanto una povera verna!”
Verna, Antea non conosceva bene quella parola, anche se l’aveva già sentita più di una volta, pronunciata poi in quel modo da Siro non poteva che essere un insulto; la bambina rispose con una noncurante linguaccia, ma era stata ferita da quella parola e le si era formato velocemente
un groppo in gola.
“Antea, bambina mia, perché non mangi?”
Chiese la nonna quella stessa sera vedendo la nipote imbronciata e pensierosa.
“Nonna, che vuol dire verna? È una brutta parola, vero? Me l’ha urlato oggi Siro.”
“Ahahahahah, ma che dici? Non è una brutta parola, è semplicemente quello che siamo e per essere precisi tu sei un’ancilla.”
“Cioè?”
“Ti sei accorta che in questa grande casa vivono molte persone e che ognuna di loro ha un compito preciso?”
“Sì, certo. Tu, per esempio, nonna lavori in cucina, il vecchio Bulbus si occupa del giardino e quell’antipatico di Siro dovrebbe pensare a mettere in ordine le stoviglie (quando ci riesce…)”
“Esatto, tutti noi lavoriamo per il funzionamento e il benessere di questa casa, in cambio il padre di Cornelia pensa a noi: ci veste, ci dà da mangiare e ci offre sicurezza.”
“Ecco nonna, questa è una cosa che proprio non capisco: se noi lavoriamo per il benessere della casa siamo in realtà noi a prenderci cura del padre di Cornelia, se non ci fossi tu a cucinare non mangerebbe, se non ci fosse Bulbus non potrebbe invitare i suoi ospiti nel giardino, quindi perché dici che lui pensa a noi?”
“Antea, ormai hai 7 anni e devi imparare le cose della vita. Quinto Cornelio Lentulo, il padre di Cornelia, è il nostro amato dominus, il nostro padrone. Lui può disporre di noi come e quando vuole, se ci si comporta male o non si rispettano le regole ci può punire severamente, se siamo meritevoli ci può premiare…”
“Ma non è giusto!”
“Cosa non è giusto?”
“Che possa farci fare tutto quello che vuole….e se io e Cornelia volessimo andare a fare una passeggiata? O un viaggio?”
“Guarda che non si tratta di giusto o sbagliato, è la natura delle cose, un po’ come nascere con i capelli biondi o castani. Se la signorina Cornelia vuole uscire tu la puoi accompagnare, se la signorina Cornelia vuole rimanere a casa, tu devi rimanere con lei…Non vuoi bene a Cornelia?”
“Certo che gliene voglio, ma non è questo il punto….”
“Guarda che devi fare la brava bambina, mica vorrai essere spedita nella villa in campagna come è capitato al tuo papà!”
“Ecco, perché se il nostro dominus è tanto amorevole, ha diviso la mamma e il papà?”
“Tanto per cominciare perché non c’era niente da dividere, i tuoi genitori non sono mica legati dal matrimonio, poi quel disgraziato di tuo padre, mio figlio, si è lamentato più una volta del poco cibo che ci veniva dato, quindi è stato mandato a lavorare nei campi per fargli imparare la fatica che sta dietro alla sua assurda richiesta.”
“Ma io li ho visti, ho visto il padrone e i suoi ospiti mangiare fino a scoppiare….”
“ANTEA!”
“Va bene, scusa…d’accordo, come dici tu verna non è una brutta parola e allora perché Siro me lo ha detto con quel tono?”
“Perché è geloso!”
“Geloso?”
“Sì, geloso. Vedi bambina mia, io e te siamo nate in questa casa, siamo praticamente parte della famiglia, Siro invece è uno schiavo che è stato acquistato quando aveva 3 anni. Credo che lui vorrebbe essere un verna proprio come te.”
“ACQUISTATO???”
“Beh certo, avevo bisogno di altre mani in cucina visto che la famiglia si allargava e il padrone ha pensato di aiutarmi prendendomi tre ragazzi, Siro era uno di quelli.”
“Nonna io tutta questa bontà del padrone non la vedo…”
“Ma che dici? Il nostro padrone è una brava e giusta persona, ti ricordi di Cosmo? Ti ricordi quanto era bravo a fare i conti? Beh, il nostro dominus, viste queste sue grandi qualità, ha deciso di liberarlo, adesso Cosmo non è più uno schiavo, ma un liberto. Ovviamente è sempre legatissimo al padre di Cornelia e infatti è sempre lui ad amministrare le ricchezze di questa famiglia!”
“Nonna, ho capito…sarà come dici tu, ora sono stanca e voglio andare a dormire…”
“Certo bambina mia, vai pure, buonanotte!”
“Buonanotte nonna”
Antea andò a dormire, ma le parole della nonna non l’avevano molto convinta, non credeva che il padre di Cornelia fosse questo gran benefattore e poi quella storia di Siro… va bene era antipatico, ma era lo stesso un bambino con un cervello e dei desideri, come si potevano comprare gli esseri umani come si compra la stoffa al mercato? No, niente questa faccenda non le andava proprio giù.
Poi le venne in mente Cornelia, la sua amica Cornelia, con la quale aveva vissuto tante avventure e tante altre ancora ne avrebbe vissute, la sua amata Cornelia, che le metteva i fiori nei capelli per farla sorridere. Allora, a quel pensiero, Antea chiuse gli occhi e sprofondò in un sonno sereno.
Antea e Cornelia pensavano seriamente che non si sarebbero mai separate, ma più crescevano e più questa convinzione vacillava: Antea si sarebbe sempre presa cura della casa o magari di Cornelia, ma a distanza e con discrezione e Cornelia sarebbe diventata la sposa di un ricco
senatore e non avrebbe avuto più il tempo, e il modo, di divertirsi con la sua fraterna amica. Proprio così, non importava che le due condividessero la data di nascita quando erano le famiglie di provenienza a condizionare il loro destino: la piccola Cornelia era infatti la quarta discendente di una potente famiglia, mentre la riccioluta Antea era figlia di uno dei servi della casa.
La differenza sociale tuttavia non rappresentò mai motivo di litigio o disparità tra le due, fu la società a imporre loro un’inevitabile separazione.
Eppure Antea e Cordelia trovarono sempre un’occasione per incontrarsi e chiacchierare come quando avevano 7 anni. Avevano anche trovato il modo di salutare insieme l’arrivo del giorno del loro compleanno: la notte tra il 12 e il 13 agosto, quando tutti dormivano, le due si incontravano nel giardino della casa. Per trovarsi, visto che le loro stanze erano molto distanti, si facevano un segnale preciso: coprivano e scoprivano per 4 volte la fiammella della lucerna che ognuna di loro portava con sé per farsi strada. In questa maniera avrebbero avuto l’assoluta certezza dell’identità l’una dell’altra. E così aspettavano l’arrivo del loro compleanno, che casualmente coincideva con la “Festa dei servi”, guardando le stelle estive, spettegolando e acconciandosi i capelli proprio come quando erano piccole.
Io e l’archeologia non ci siamo amate fin da subito. Quando da bambina incontrai un’archeologa, capii che passare ore sotto al sole piegati, sporchi di terra e sudati non poteva fare per me. Ma come nelle migliori storie, gli amori più grandi nascono da scontri all’apparenza definitivi.
Da circa sette anni mi occupo di didattica, mi diverte molto cercare i linguaggi adatti e creare le esperienze giuste per coinvolgere i bambini anche i più scettici come lo era la sottoscritta tanto tempo fa.
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