Secondo i più recenti sondaggi, il numero di ragazze che in Europa scelgono di orientarsi verso lo studio e la scelta delle professioni STEM (scienza, tecnologia, ingegneria e matematica) è nettamente inferiore rispetto a quello dei ragazzi. Il tasso percentuale più basso si registra proprio in Italia, dove solo il 31,71% di donne ricoprono posizioni tecnico-scientifiche di rilievo contro il 68,29% di uomini. Lo squilibrio di genere rivelato da questi dati trova conferma nella dichiarazione, di qualche giorno fa, del direttore della Scuola Normale di Pisa, secondo cui nelle università italiane, a forte predominanza maschile, la carriera delle donne è costantemente osteggiata. Sospetti, calunnie, notizie false diffuse ad arte e spesso legate alla sfera sessuale offuscano costantemente la dignità intellettuale, il merito e le competenze delle colleghe donne.
A ben vedere le ragioni della scarsa vocazione delle donne verso il mondo della scienza e della discriminazione di cui le docenti e ricercatrici sono vittime nel sistema universitario nazionale, vanno ricercate nel modo in cui le scienze, e non solo, vengono insegnate e comunicate a scuola e in altri contesti informali.
Prendiamo i libri di storia. Se in un capitolo qualsiasi provassimo a contare i nomi di personaggi maschili, celebri o meno, citati e lo confrontassimo con quello delle donne il risultato sarebbe a dir poco sconfortante. Fatta eccezione per regine, badesse, rivoluzionarie, scrittrici, nessuna donna o quasi è menzionata nei testi scolastici. L’universo femminile non è quasi mai contemplato nelle intenzioni di quanti scrivono i libri di storia o al massimo viene omologato a quello maschile: il termine ‘uomini’ comprende maschi e femmine. Insomma, una storia “sbilenca”, come ebbe a definirla Virginia Wolf, una storia che ignora le donne.
In attesa che la complessità di tutte le storie che compongono la Storia entri di diritto nei manuali scolastici, la casa editrice Settenove – il primo progetto editoriale italiano interamente dedicato alla prevenzione della discriminazione e della violenza di genere -, in collaborazione con la Sis-Società italiana delle storiche, ha avviato la collana ‘Storie nella Storia’, che propone un racconto corale e sfaccettato delle epoche storiche, in cui pari dignità e rilevanza vengono riconosciute alle vicende che hanno visto uomini, donne e bambini protagonisti.
L’intento meritorio di questa iniziativa è quello di adottare, nella narrazione storica, un linguaggio rispettoso delle differenze di genere, non solo per quel che riguarda l’uso delle regole della lingua (sintassi, lessico, morfologia), ma anche attraverso la selezione attenta e non discriminatoria dei contenuti. Dare voce alle donne nei libri di storia non vuol dire soffermarsi più nel dettaglio sulle vite di personaggi femminili illustri, semmai proporre una descrizione analitica e obiettiva dei fatti storici che tenga conto dell’apporto comune che uomini e donne hanno fornito al progressivo dispiegarsi delle dinamiche economiche, sociali, culturali, religiose che hanno determinato il passaggio da un’epoca all’altra.
Il primo volume della collana, Preistoria. Altri sguardi, nuovi racconti, scritto dall’insegnante ed esperta di didattica della storia Elisabetta Serafini e illustrato da Caterina Di Paolo, offre una rilettura dei fenomeni salienti che hanno caratterizzato la Preistoria e la Protostoria, in cui si sottolinea il ruolo delle donne e dei bambini all’interno delle prime comunità di ominini.
La voce narrante è quella di una studiosa dell’Età del Bronzo britannica, nonché divulgatrice, Margaret Ehrenberg, nota per aver scritto un saggio dal titolo emblematico Women in Prehistory (in italiano La donna nella preistoria, Mondadori 1992).
Ero all’università, in una bellissima giornata di sole, piena di incontri piacevoli, tranne uno…
Poco prima della lezione, sfogliando il manuale appena preso in biblioteca, mi soffermai su alcune delle tante immagini che cercano di ricostruire la Preistoria: uomini cacciatori, uomini che accendono il fuoco, uomini che realizzano armi, uomini che costruiscono utensili… Non c’era neanche una donna! […] A lezione chiesi subito spiegazioni: «Cosa facevano le donne mentre gli uomini andavano a caccia?». La risposta mi lasciò di sasso: «Per cortesia, non faccia domande sciocche!». Ma non mi arresi.
È innegabile che riconoscere la presenza delle donne nelle società preistoriche a partire dalle tracce materiali che di esse abbiamo, è cosa assai complessa, ma non per questo impossibile. Pensiamo, ad esempio, alle pitture rupestri: le figure umane rappresentate sono talmente stilizzate che è difficile distinguere le femmine dai maschi. Eppure, proprio partendo da un’attenta analisi dei graffiti e delle pitture che ricoprono le pareti delle grotte rupestri dell’Europa occidentale, si è scoperto che le mani impresse non sono solo di uomini, ma anche di donne e ragazze.
Quelle stesse piccole mani che, simbolicamente, ritroviamo disegnate nella prima e ultima pagina del libro.
Agli inizi del 2018 si data un altro ritrovamento eccezionale fatto da un gruppo di studiosi e studiose dell’Università La Sapienza di Roma in Etiopia: poco lontano da Melka Kunture sono state scoperte le impronte lasciate nella terra – protette nel corso dei millenni dalla cenere di un vulcano – da una bambina o bambino che 700.000 anni fa partecipò ad una battuta di caccia assieme agli adulti del suo gruppo famigliare.
È nei dettagli, dunque, che si annidano quegli elementi utili a comprendere in che modo uomini, donne e bambini vivevano in epoche così distanti dalla nostra e in quale misura hanno contribuito al progresso storico. Furono probabilmente proprio le donne – già in età paleolitica impegnate al pari degli uomini nella raccolta e nella caccia di piccoli animali – che capirono, con l’avvento del Neolitico, che alcune piante potevano essere non solo strappate dalla terra ma anche coltivate. La capacità di osservare i fenomeni naturali nel tempo e intuirne la riproducibilità attraverso la domesticazione delle specie vegetali è, molto probabilmente, un merito che va riconosciuto alle donne più che agli uomini neolitici.
Ma in quanti manuali e libri di storia la rivoluzione neolitica viene dibattuta secondo un’ottica di genere? E ancora, in quanti sussidiari, oltre ai più celebri archeologi del passato come Heinrich Schliemann o Arthur Evans si citano studiose del calibro di Mary Anning o di Mary Douglas Nicol, ricordata (in virtù del cognome del marito anch’egli archeologo) come Mary Leakey?
Confesso che io stessa, che pure ho alle spalle anni di studi archeologici, mi sono imbattuta nei nomi di queste due straordinarie studiose sono in anni recenti e me ne dispiaccio, perché la lettura delle loro biografie avrebbe, da bambina, conferito non solo più slancio e forza alle mie ambizioni, ma mi avrebbe sollecitata ad essere più attenta alle discriminazioni di genere (innegabili) nel mio lavoro.
Gli spunti di riflessione e di approfondimento che questo libro offre sono davvero tanti, difficile riassumerli in poche righe. L’invito è ai docenti, agli educatori, agli adulti a servirsene – assieme ai prossimi libri della collana – come uno strumento prezioso per educare i bambini, anche attraverso l’insegnamento della storia, alla soggettività, ossia alla comprensione del fatto che sono le piccole storie quotidiane che compongono la Storia e che gli eventi epocali raccontati nei libri sottendono una molteplicità di azioni, pensieri, vicende di cui uomini, donne e bambini sono ugualmente artefici e promotori.
Un libro, dunque, che ha una doppia valenza: una piacevole narrazione storica per i lettori bambini e un libro di supporto all’insegnamento e alla didattica della storia per gli adulti, anche grazie ai numerosi materiali online scaricabili dal sito della casa editrice.
La qualità del testo va ricercata, in pari misura, nella prospettiva narrativa adottata, nella qualità dei contenuti, in una scrittura calibrata e attenta alle differenze anche a partire dalle scelte lessicali, nella forza espressiva che caratterizza le illustrazioni, che non si limitano ad accompagnare il testo ma ne amplificano le valenze educative. L’immagine che esemplifica l’evoluzione della specie dalla scimmia alla donna e non, come comunemente siamo abituati a vedere, all’uomo è una dichiarazione d’intenti ben precisa.
“Tenete gli occhi aperti!”, è il monito che Margaret lancia a fine libro ai suoi lettori.
Osserviamo, analizziamo, approfondiamo, proviamo ad andare oltre la superficie degli eventi, oggi più che mai. Sforziamoci di avere uno sguardo aperto sul mondo che comprenda l’umanità tutta, maschile e femminile, al di là di ogni discriminazione.
Preistoria. Altri sguardi, nuovi racconti
È possibile raccontare la Preistoria senza parlare solo di "uomini" preistorici? Certo: basta guardare con molta attenzione le tracce che ha lasciato e porsi nuove domande. Si scopre così una vita di gruppo costruita su un vero e proprio gioco di squadra: il lavoro delle donne, le attività degli uomini, il contributo di bambine e bambini. Ascoltando i racconti di studiose di ieri e di oggi scopriremo le regole di quel gioco e comprenderemo i loro cambiamenti nel tempo.
Età di lettura: da 7 anni.
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Mi chiamo Giovanna e vivo in Puglia. Ho sempre avuto le idee molto chiare: a 8 anni sapevo già che avrei fatto l’archeologa. Per anni mi sono divisa tra gli scavi e montagne di mattoni, tegole e coppi. Chissà, forse sono fatta un po’ di argilla…
Poi, ho capito che dovevo raccontare l’archeologia ai bambini e dare un senso, una prospettiva al mio lavoro. E allora ho scoperto una cosa fondamentale: le storie sono l’unica cosa che ci lega al passato e al futuro e che nessuno potrà mai portarci via.
Questo articolo mi ha riempito il cuore di gioia pura, grazie.