Fin dalle prime volte che abbiamo aperto ai bambini il cantiere di scavo di Vignale, è apparso chiaro come una delle cose che più li incuriosisce (Nano a parte, s’intende), sia proprio l’unico elemento a cui non sanno dare un nome: una presenza insolita, pure un po’ buffa, con tre “gambe” gialle e una testa azzurra.
Dire poi a cosa serva è praticamente impossibile. Le risposte più gettonate quando provo a rigirare loro la domanda sono: “una macchina fotografica”, “fa i video”, “vede dentro la terra”, “boh!”.
È proprio a questo punto che solitamente comincia la vera sfida: tentare di spiegare come funzioni e a cosa serva, su uno scavo archeologico, una macchina tecnicamente molto complessa che lavora sulla base di formule matematiche rompicapo e molto poco “amichevoli”, usando parole semplici, concetti a loro noti e tentando di rendere il più concreto (e magari anche divertente) possibile il “contatto” con lo strumento.
E siccome, lo ammetto, la definizione di Wikipedia:
“Il teodolite è uno strumento ottico a cannocchiale per la misurazione degli angoli azimutali e zenitali, usato per rilievi geodetici e topografici. La stazione totale è un teodolite con un distanziometro che, nel caso tradizionale, necessita di un prisma riflettente per effettuare la misura distanziometrica”
mi era sembrata “un tantino” ostica per potermi venire in aiuto, ho pensato bene, negli anni, di rivolgermi ad alcuni elementi che solitamente riscuotono il favore dei più piccoli: il mondo animale, quello dei supereroi con poteri interstellari e un grande classico da spiaggia.
Per spiegare loro il funzionamento della stazione totale, ecco che il pipistrello – animaletto cieco che ama andare in giro di notte e che si orienta con gli ultrasuoni – mi permette di far loro capire come il segnale emesso dalla macchina (il pipistrello), arrivando al prisma (l’ostacolo sul percorso del pipistrello), venga riflesso e torni indietro, così da consentirci di calcolare la distanza effettiva di quest’ultimo dallo strumento (o dal naso del pipistrello). Il “raggio laser” diventa così l’espediente “fantastico” che permette loro di immaginare ciò che non possono vedere, ovvero il segnale che la stazione lancia verso il prisma.
A questo punto, dopo che ognuno di loro ha, concretamente, sia “sparato il raggio laser”, sia impugnato la palina del prisma dentro lo scavo, si passa alla fase successiva: spiegare a cosa ci serve. E qui diventa fondamentale il quaderno del rilievo con i nostri schizzi di lavoro e il gioco “unisci i puntini” della Settimana Enigmistica. Racconto loro che la stazione totale, una volta collegata al computer, mi fa vedere i punti misurati e a me non resta che unirli con delle linee, in base al loro numero, per disegnare il contorno di tutto ciò che compone lo scavo. “Ma proprio tutto, tutto?”,“Sì, proprio tutto, i muri, le loro pietre, le buche, persino la terra subito prima che venga tolta: tutto… Così una volta disegnato, posso vedere lo scavo anche quando sono lontana da qui”. “Faccio anch’io un disegno, così mi ricordo come è fatto quando torno a scuola”, mi ha risposto l’ultima volta una bambina che per questo nobile intento ha addirittura sacrificato la pausa colazione! A volte si rischia di creare dei “piccoli mostri”…
Ma chi quest’anno si è innamorato perdutamente – e in maniera del tutto inaspettata – della stazione totale, è stato Mattia, quattro anni, nostro vicino di bungalow al villaggio che ci ha ospitato per tutta la prima settimana di scavo a Vignale.
Fin dalla prima volta che ci ha visti indossare gli scarponi in fretta e furia davanti casa, ha sgranato i suoi occhietti e si è “settato in modalità iper-curiosità smodata” per tentare di capire cosa esattamente facessero quegli strani tizi che sporchi e carichi di borse, zaini e cianfrusaglie varie vedeva rientrare ogni pomeriggio con espressioni stanchissime e un po’ allucinate.
Lavorare prima di cena davanti casa, in quei giorni, significava anche godere delle sue repentine incursioni in sella ad una meravigliosa bicicletta che abbandonava solo per sedertisi accanto o direttamente in braccio incuriosito da quello strano marchingegno con tanti tasti e tante rotelle parcheggiato sul tavolino e collegato al mio computer.
Incredibile ma vero, la stazione totale è stata galeotta per la nostra amicizia!
“Ciao… Che è quesssta?”
“E’ uno strumento speciale che se ci guardi dentro ti dice quanto sono distanti le cose da te”.
“E come fa?”.
Panico: e ora come glielo spiego? Ricordo di aver pensato che a volte anche studenti universitari hanno difficoltà a capirlo e che, in quel momento, avevo pochi attimi per dare una risposta convincente ad un quattrenne!
“Beh, dunque, c’è una specie di raggio laser che esce da qui se premo questo pulsante e che quando arriva sull’oggetto che ti interessa, torna indietro. A seconda di quanto tempo ci mette, lei mi dice quanto è distante. Ha dentro delle lenti che ti fanno vedere le cose lontane e…”
S’illumina: “Allora è come un binocolo che misura!“
“Ecco! Sì, bravo!”, sono sbalordita, credo che descrizione più calzante non potesse essere formulata, soprattutto da un bimbo così piccolo e soprattutto, diciamolo, dopo una spiegazione che mi era sembrata tutt’altro che “efficace”, per non dire pessima.
“Mi fai vedere come funsssiona?”
“Adesso è spenta, però se vieni a trovarci sullo scavo te la faccio usare, promesso!”
Improvvisamente si rattrista: “Ma io non ce li ho li ssscarponi come i vostri per venire!”
Provo a rassicurarlo: “Non importa, ce l’avrai un paio di scarpe da ginnastica coi lacci…”
“…eeeh no, c’ho quelle con gli ssstrappi!”
“…”. Non posso che ridere. Touchée…
L’attenzione per il dettaglio e la curiosità dei bimbi possono essere, certe volte, veramente spiazzanti: ti mettono di fronte alla necessità, come in questo caso, di raccontare aspetti tecnici – complicati e noiosi – in maniera semplice e chiara; ti richiedono uno sforzo mentale e di linguaggio fondamentale per mediare tra due estremi che non devono essere toccati: l’eccessiva semplificazione che non li convince e l’eccessivo tecnicismo che li fa distrarre.
Quella stessa attenzione per il dettaglio e quella stessa curiosità però ti permettono anche di entrare in contatto diretto con un entusiasmo e un desiderio di conoscere che ti contagiano e ti stimolano e, non da ultimo, ti ricordano, in maniera altrettanto disarmante, che proprio quelli sono i motivi genuini che ti hanno mosso quando hai scelto di fare questo mestiere.
8 anni. Prima lezione di Storia. Una maestra speciale che m’incanta parlando della fine di Pompei e degli scavi che l’hanno riportata alla luce insieme alle storie dei suoi antichi abitanti. Quel giorno ho deciso che da grande avrei fatto l’archeologa.
E forse è per via di questo inizio che ancora mi trovo divisa tra la passione del fare ricerca sporcandomi le mani di terra e la consapevolezza che raccontare il nostro mestiere, soprattutto ai più piccoli, lo possa caricare di senso e di futuro.
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