Alzi la mano il primo di voi bambini che quando, durante le vacanze, i genitori vi dicono: “Andiamo a vedere una mostra di statue!” fate salti di gioia…
Uno per volta eh…
… è noiosa una mostra di statue…
… alle mostre non si gioca e non imparo niente…
… le mostre sono piene di parole difficili…
… preferisco andare a prendermi un gelato…
Scommettiamo che quando avrete finito di leggere questo post direte ai vostri genitori “prima andiamo alla mostra e poi a prendere il gelato, voglio imparare qualcosa di nuovo divertendomi”?
Ne sono sicuro perché insieme ai miei amici archeoblogger (quegli archeologi attivi su internet che scrivono di archeologia sui loro blog) lo scorso 30 aprile sono stato invitato a Firenze, precisamente a Palazzo Strozzi, per visitare la mostra “Potere e pathos, bronzi dal mondo ellenistico”.
Attraverso 50 capolavori, la mostra dà al pubblico l’opportunità unica di conoscere le più famose
statue in bronzo dell’età ellenistica (IV-I secolo a.C.). Mentre seguivo la visita guidata (per un approfondimento sulla giornata degli archeoblogger, leggere il post su Archeotoscana), mi è venuto in mente che alcune di esse come l’Arringatore o il Pugile seduto c’erano anche sui libri di arte che avevo usato a scuola. La visita è stata molto interessante ed è proseguita al Museo Archeologico Nazionale di Firenze, dove siamo stati accompagnati a vedere “Piccoli grandi bronzi”, una mostra con 160 bronzi di piccole dimensioni.
Statue, bronzo, scuola, visita guidata? Guarda che così la scommessa non la vinci!
Lo so che così non la vinco, che credete? Ma mi sto tenendo il mio asso nella manica.
Infatti Giulia e Benedetta, le ragazze che lavorano a Palazzo Strozzi e che ci hanno invitato, prima di iniziare la visita, ci avevano detto di un particolare attività che avevano organizzato per visitare la mostra in maniera diversa. Un’attività che mette insieme bambini e genitori.
Di che attività si tratta? Palazzo Strozzi ha pensato la mostra come aperta ad ogni tipo di pubblico (per approfondire Liberarcheologia e Professione Archeologo) e ha organizzato anche un Live Role Playing, ovvero un gioco di ruolo; non è una vera e propria caccia al tesoro, è qualcosa di più coinvolgente!
L’obiettivo del gioco infatti non è quello di trovare un oggetto, ma di risolvere “il mistero della statua scomparsa”. Quale statua? Se andate alla mostra vedrete che il primo oggetto esposto è un basamento di una statua… senza statua! Sul basamento, in lettere greche, c’è la firma dello scultore, Lisippo, uno degli scultori più famosi dell’età ellenistica. Che fine avrà fatto la statua? E soprattutto, che cosa rappresentava?
Come fate a risolvere il mistero? Per raggiungere il vostro obiettivo per prima cosa dovete assumere i panni di un personaggio: Palazzo Strozzi vi propone di essere l’archeologo (che vuole diventare un famoso professore universitario), il falsario (che vuole farne una copia perfetta da rivendere a caro prezzo) o il collezionista (che vuole possedere la statua più bella al mondo) e, a seconda della vostra scelta, vi verrà consegnata uno specifico kit. Io, per deformazione professionale, ovviamente ho scelto di fare l’archeologo e nel kit ho trovato la prima pagina del “Times” (in italiano ovviamente) del 1932, anno in cui si svolge il gioco, attraverso cui si dà notizia della statua scomparsa; c’è inoltre un disegno tecnico del basamento, con la posizione degli incavi in cui erano alloggiati i piedi, e una busta con un messaggio da parte di un giornale d’arte antica che chiede di far luce sulla vicenda e che comincia a dare alcuni indizi.
Vi conviene prendere un foglio e una penna, e cominciare a prendere appunti!
Il gioco prosegue nelle varie sale, dove si trovano alcune cassettiere con sopra dei telefoni. Alzando la cornetta sentirete la voce di un vostro collaboratore darvi alcune informazioni e, inserendo il vostro codice in un apposito lucchetto, avrete la possibilità (oppure no) di aprire un cassetto, dentro cui trovare piante e documenti utili per risolvere il mistero.
Non è mica una passeggiata! Però Palazzo Strozzi ha fatto di tutto per aiutarvi: ad un certo punto del percorso potete entrare in una porticina che vi conduce a due sale in cui potrete toccare copie di statuette in bronzo, marmo, cera. Potrete così capire come venivano realizzate le statue e la differenza che c’è tra un’originale, una replica e una variante.
Avrete bisogno dell’aiuto dei genitori per venirne a capo. Avreste dovuto vedere quanti ce n’erano a provare il gioco? Tra genitori e bambini difficile dire chi si divertisse di più!
Come finisce il gioco non ve lo dico: l’unica cosa che non posso omettere è che c’è anche un fantastico premio. Infatti una volta che avrete preso i vostri appunti e vi sarete fatti un’idea su quale statua potesse trovarsi sul basamento, avete il compito di scrivere una breve storia in cui ricostruite la vicenda, entro il 21 giugno. L’autore della storia che sarà giudicata più bella vincerà un viaggio ad Atene per tre giorni. Per le modalità di partecipazione e il regolamento, dovete andare sul sito internet di Palazzo Strozzi.
Al di là che si riesca a vincere, quello che mi ha colpito di più è il ruolo educativo di questo tipo di gioco di ruolo. Infatti per risolvere il mistero si è costretti a raccogliere informazioni sulle statue, a guardarne attentamente le varie parti del corpo, ad approfondire il personaggio scolpito. Facendo tutto questo con un obiettivo all’interno di un gioco, si arriva alla fine e ci si accorge di aver vissuto la mostra con l’adrenalina del divertimento e di esser riusciti a memorizzare informazioni in modo diverso e più efficace del solito.
Ora è giunto il momento di andare a rifocillarsi con un meritato gelato! Come? Volete rimanere in sala lettura per risolvere il mistero? Siete sicuri?
Credo proprio di aver vinto la scommessa, ora però anche i musei devono vincere la loro: animare percorsi museali o mostre è possibile, anche con poco. Palazzo Strozzi lo ha dimostrato. Bambini (e non solo) non chiedono altro.
C’era una volta un bambino di nome Francesco che, dopo aver trascorso infanzia e adolescenza visitando siti greci e romani nel Mediterraneo, sa che diventerà archeologo. Si iscrive all’università di Siena convinto di studiare le antichità classiche ma ben presto capisce non c’è cosa più bella di condividere e vivere l’archeologia e le sue storie con tutti, bambini compresi. E continua a farlo anche dopo aver terminato il suo dottorato in archeologia pubblica.
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