“Ehi, guardate!… ma che cos’è?”
“Dove? Io non ho visto niente…”
“Là! Che cosa tiene dietro la schiena?”
“No… non può essere!”
“Ma lo avranno trovato nello scavo?”
“Ma è un NANO!”
Sì, è proprio un nano, un nano di terracotta.
E’ arrivato allo scavo di Vignale un po’ per gioco, ma ha preso il suo compito molto seriamente. Anzi, direi che è diventato una colonna portante del progetto Uomini e Cose a Vignale.
Ha cominciato ad aggirarsi tra i resti delle fornaci, della villa e della stazione di posta e poi ha capito che, oltre ad occuparsi di archeologia, doveva parlare con la gente e con i bambini in particolare. Dopo le prime volte ci siamo resi conto che nessuno di noi aveva la sua stessa capacità di stabilire con loro una solida e giocosa complicità, ma anche di guadagnarsi la loro stima.
E’ stato così che un giorno il Nano ha aperto la recinzione del cantiere. Da allora è lui che va incontro ai bambini che vengono in visita allo scavo: li accoglie e con grande autorevolezza spiega loro le regole del gioco: non ci si avvicina troppo al bordo dello scavo, niente spinte, niente calci, occhi aperti e grande capacità di immaginazione, zaini nelle apposite carriole e… via, si parte per una bella avventura!
I bambini sono rapiti, quasi increduli che un Nano di terracotta possa dire loro come comportarsi. Ma capiscono subito che a Vignale le regole le detta lui, perché questo Nano sa dire anche le cose che non vogliamo sentire, proprio come un vero amico.
E poi sa un sacco di cose! Spiega, racconta storie e li fa sorridere, li trasporta in un mondo magico servendosi di oggetti molto particolari: giganti gomme da cancellare per eliminare dal paesaggio le “cose” moderne e occhiali potenti che mettono a fuoco gli “uomini” del passato, i luoghi in cui vivevano e gli oggetti della loro vita quotidiana.
Ha una valigetta piena di attrezzi curiosi e sempre tante idee per attività da fare sia con il sole che con la pioggia quando è meglio che sia lui ad andare a scuola.
Nel tempo si è conquistato l’affetto dei piccoli e dei grandi, perché il legame che ha stabilito con i bambini va oltre le attività didattiche che svolgiamo insieme sul sito. Loro sanno che durante l’inverno può sentirsi solo e gli mandano lettere e disegni che lo ritraggono dentro lo scavo e con gli attrezzi da lavoro; lo invitano agli spettacoli di fine anno e alle recite natalizie e se lo tengono accanto, proprio come un amico.
Immagino che per qualcuno sarà difficile da credere, ma questo piccolo Nano di terracotta ha trasformato una ricerca archeologica in un progetto di archeologia pubblica, condivisa e sostenibile.
Lo conoscono nonni, genitori, fratelli e sorelle, la cassiera del supermercato, il meccanico, alla posta e in farmacia.
Perfino i grandi hanno capito che il Nano è uno straordinario mediatore culturale, qualcuno in grado di rendere l’archeologia una parte importante della vita di una comunità a partire dai bambini che imparano a percepire il lavoro degli archeologi qualcosa di quotidiano che cresce con loro.
Se quel giorno il Nano non fosse arrivato nella nostra equipe, oggi Vignale sarebbe solo una bella ricerca archeologica per addetti ai lavori.
E invece è soprattutto lo scavo in cui una comunità può cercare con noi risposte al proprio presente e aiutare i piccoli a costruire il proprio senso di identità e di appartenenza.
Vivo a Siena, una città in cui è impossibile non essere circondati dalla storia. Non volevo fare l’archeologa fin da piccola, ma credo di averlo capito al momento giusto.
Ho legato il mio cuore a siti speciali in cui ho avuto e ho la fortuna di lavorare e sono un discreto topo di biblioteca. Ma una delle cose che preferisco fare è condividere le storie che leggo nella terra con i bambini: occhi trasparenti e domande spontanee mettono a nudo l’archeologia e non ammettono risposte vaghe!
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