Cari bambini e bambine,
vi chiedo scusa per quello che sto per scrivervi, ma oggi non posso farne a meno. Vi è mai capitato che un adulto vi dicesse “Tesoro va tutto bene, non preoccuparti” e mentre pronunciava queste parole aveva gli occhi pieni di lacrime e il viso imbronciato?
A me sì, me lo ricordo e forse l’ho detto anch’io qualche volta. Ma voi bambini siete abbastanza svegli e intelligenti per capire che non è vero che va sempre tutto bene, perché a volte invece le cose vanno male e allora i grandi sono tristi o arrabbiati. E in quei momenti bisognerebbe dirvi la verità, non mentirvi e trovare in voi ascolto e conforto.
Voi che conoscete le fiabe, leggete libri e vedete i cartoni animati in tv, l’avrete ormai capito che non esistono soltanto personaggi buoni ed onesti, che di furbi, malvagi e prepotenti il mondo è pieno, quello reale e anche quello della fantasia. Vi sarete resi conto che tanti sono i problemi che affliggono questo pianeta e il nostro Paese in particolare: l’inquinamento, i terremoti, gli acquazzoni, le guerre, la mafia, la disoccupazione… e poi c’è n’è uno che a me sta molto a cuore e che non è vero che è meno importante degli altri, perché invece ci e vi riguarda: il futuro dei nostri monumenti, dei siti archeologici, dei musei, delle opere d’arte.
Vi confesso una cosa: gli archeologi, quelli come me e come gli amici di ArcheoKids, non se la passano bene ultimamente. Se devo essere sincera fino in fondo è già da tanto, troppo tempo che le cose non vanno per il verso giusto. Molti hanno finito l’Università e ora non sanno cosa fare, altri non riescono a lavorare come archeologi e allora provano a inventarsi un altro mestiere, altri ancora cercano di resistere ma per inseguire il loro sogno sono costretti a fare delle rinunce, altri non ce la fanno più di sentirsi dire che non c’è nessun posto dove possono essere utili e allora se ne vanno all’estero. Insomma, bambini miei, gli archeologi sono tanto arrabbiati ma così arrabbiati che se solo provaste ad avvicinarvi ve ne accorgereste da soli: ci sono giornate in cui i loro capelli si rizzano, gli occhi si sgranano o sono spenti e il sorriso si fa stentato.
Certo la rabbia può anche essere un’emozione positiva se la si sa coltivare e trasformare; quando ciò avviene può persino diventare un’arma potente grazie a cui superare ogni ostacolo. Ma non si può essere sempre arrabbiati, altrimenti va a finire che ci si fa del male. E ciò che mi preoccupa è proprio il fatto che la rabbia degli archeologi cresca ogni giorno sempre di più.
Nei giorni scorsi sono successi due episodi che hanno ulteriormente contribuito a far crescere l’amarezza e lo sconforto. Provo a spiegarveli e spero che mi capiate.
In una grande città, un bel giorno il direttore di tutti i musei ha stabilito che ce ne sono troppi e che eccessive sono le spese per tenerli aperti e accessibili a tutti i cittadini (gli stipendi dei custodi, delle guide, degli archeologi, di chi fa i laboratori didattici o progetti per i visitatori, le bollette…). In tempi di crisi non si possono spendere tutti questi soldi, è uno spreco ˗ avrà pensato il direttore ˗ cosa fare per ridurre le spese? Poiché non si possono chiudere, meglio affidarli ai volontari. “Ci sarà pur qualcuno ˗ si sarà detto tra sé e sé il grande direttore ˗ che non ha nulla da fare tutto il giorno (i nonni, i pensionati, le casalinghe, gli studenti) e che avrà voglia di lavorare in un museo. In questo modo, grazie ai volontari, non sarò costretto a chiudere nessun museo e non dovrò neppure spendere soldi per tenerli aperti”.
Un colpo di genio, secondo l’illuminato direttore, una pessima idea secondo gli archeologi e chi nei musei ci lavora da anni. I volontari sono preziosi perché c’è davvero tanta gente di buona volontà che è disposta rimboccarsi le maniche e dare una mano. Ma che cosa accadrebbe, per farvi un esempio, se un ospedale fosse affidato solo ai volontari? Chi sostituirebbe i medici e gli infermieri tra le corsie e in sala operatoria? Lo studente o il postino in pensione o la nonna un tempo maestra? Sarebbe un vero disastro, i malati scapperebbero per la disperazione.
Per svolgere delle mansioni non basta avere buona volontà e tempo a disposizione, ma bisogna possedere delle competenze che si acquisiscono pian piano solo attraverso lo studio e la pratica e che non tutti hanno in ugual misura perché siamo diversi e con inclinazioni differenti. Ragion per cui in un ospedale è bene che gli interventi li faccia il chirurgo e il volontario assista i malati che hanno bisogno di cure e compagnia, e in museo le guide e i laboratori e la ricerca siano affidati agli archeologi o agli storici dell’arte e il volontario si occupi di altre cose che non richiedono competenze particolari.
Ma a tutto questo il famoso direttore non ha minimamente pensato perché a lui interessava solo spendere meno soldi.
Poi è successa un’altra cosa: il sindaco di quella grande città ˗ sì sempre la stessa, un vero paese di sciocchi ˗, si è reso conto che nei depositi dei musei cittadini ci sono troppi reperti archeologici che nessuno ha mai studiato. “Sarebbe ora che qualcuno finalmente studiasse tutti questi oggetti, altrimenti a cosa servono se restano abbandonati dove nessuno può vederli?”, si sarà detto. Ma lo studio degli archeologi, sa bene il nostro sindaco, è un lavoro lungo e delicato che deve essere pagato e poiché anche lui non ha risorse da destinare a questo scopo, ha deciso di spedire tutti questi reperti in America e farli studiare agli archeologi americani. Chi pagherà il trasporto? Un ricco imprenditore italiano. “Ma allora perché questo imprenditore non usa i soldi per pagare gli archeologi italiani? In questo modo tutti questi reperti si risparmierebbero un lungo viaggio e non correrebbero il rischio di rovinarsi”. È un’ottima domanda quella che vi starete ponendo e in tanti se la sono posta. Il sindaco della grande città ha annunciato a tutti con grande orgoglio il suo progetto, anche lui era convinto di aver avuto un’idea geniale: “I reperti della mia città saranno studiati a costo zero. Fantastico!”, e invece ha fatto una gran figuraccia perché ha dimostrato di non avere stima degli archeologi italiani che sono bravissimi e che potrebbero occuparsi dello studio dei reperti meglio dei colleghi americani, che spesso ne ignorano i siti archeologici di provenienza.
Come reagireste se il preside della vostra scuola organizzasse un concorso di fumetto, ma decidesse di far partecipare solo i bambini giapponesi perché secondo lui più bravi di voi a disegnare? Malissimo! Ebbene anche noi archeologi ci siamo rimasti male perché se nessuno ha fiducia in te, ti offre delle opportunità, ti mette alla prova, ti incoraggia ad andare avanti e a resistere, si finisce col tempo per sentirsi inutili, incapaci, abbandonati.
Molti di questi archeologi vogliono scendere in piazza, nella città del direttore e del sindaco, e protestare, gridare al mondo intero che sono arrabbiati e non ce la fanno più. Ma io ˗ questa volta bambini ˗ farei scendere voi in piazza con una grande striscione con su scritto: “State distruggendo il nostro futuro! Vergogna!”.
Perché se un giorno, quando voi sarete ormai grandi, i musei chiuderanno, tutti i reperti saranno spediti all’estero, gli archeologi non potranno più scavare e fare ricerca e raccontare le loro storie, questo accadrà per colpa di uomini che la pensano come il direttore, il sindaco e il ricco imprenditore. Se continua così gli archeologi diventeranno una specie in via di estinzione.
Io credo che noi grandi abbiamo bisogno della vostra rabbia, bambini, perché è energia pulita che nasce dalla voglia di esplorare e capire i meccanismi del mondo e non, come la nostra, dal rancore, dallo scoramento, dalla delusione, dalla stanchezza, dal disincanto. Noi abbiamo bisogno di guardare i vostri occhi che osservano con stupore ciò che li circonda, di ascoltare le vostre risposte semplici a domande complesse, di pensare al vostro domani per provare oggi ad andare avanti e trovare una ragione per continuare a credere e sperare.
Vi ho annoiato? Mi dispiace. A me scrivervi è servito a sfogarmi un po’, perché le cose che non si dicono si accumulano tutte nella pancia e nella testa e ci rendono la vita impossibile. Vi prometto che la prossima volta vi racconterò una di quelle storie bellissime, che hanno l’odore della terra e il sapore del tempo, che solo noi archeologi sappiamo raccontare. È una promessa.
Mi chiamo Giovanna e vivo in Puglia. Ho sempre avuto le idee molto chiare: a 8 anni sapevo già che avrei fatto l’archeologa. Per anni mi sono divisa tra gli scavi e montagne di mattoni, tegole e coppi. Chissà, forse sono fatta un po’ di argilla…
Poi, ho capito che dovevo raccontare l’archeologia ai bambini e dare un senso, una prospettiva al mio lavoro. E allora ho scoperto una cosa fondamentale: le storie sono l’unica cosa che ci lega al passato e al futuro e che nessuno potrà mai portarci via.
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