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Archeologia della… spazzatura!

Lo so, posso immaginare… Le vacanze sono finite, dopo quasi venti giorni costellati da pranzi che si trasformano magicamente in cene, tanti regali da scartare e da godersi e quella giusta dose di meritato relax, tocca tornare alla routine quotidiana.

Lo so, è dura. Anche per i grandi non è facile, ve l’assicuro, ma noi di Archeokids siamo pronti a iniziare insieme a voi un nuovo scoppiettante anno fatto di storie che vengono dal passato e che raccontano chi siamo oggi. Siete pronti? Bene, cominciamo!

L’ispirazione su come inaugurare questo 2016 sul blog mi è venuta proprio durante questo periodo di feste in cui, oltre ad un notevole accumulo di “ciccia e brufoli”, sarà capitato anche a voi di notare un considerevole accumulo di sacchi dell’immondizia colmi di rifiuti! Pensateci bene: le carte dei regali, le scatole dei vari dolciumi, il cibo che ostinatamente è avanzato anche dopo giorni e giorni di pranzi, merende, spuntini e cene con cui ci si è illusi di potersene sbarazzare… Ebbene sì, proprio di questo parleremo oggi: di spazzatura! Eh, già, perché vi svelerò un piccolo segreto: gli archeologi vanno pazzi per la “spazzatura” degli antichi (e non solo, come vi dirò tra poco).

Ma no, non fate quella faccia! Capisco che l’idea di scavare una discarica possa sembrare poco allettante, ma vi assicuro che un accumulo di rifiuti (quello che spesso gli archeologi chiamano butto) racchiude in sé, negli oggetti tangibili che lo compongono e negli innumerevoli legami che tra essi esistono – e che è compito degli studiosi ricostruire – una quantità di storie e di potenziale conoscenza della vita degli uomini del passato che altri contesti archeologici difficilmente possono regalarci.

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Butto di Palazzo Valentini. Foto di Lori Langer de Ramirez. (Fonte: flickr.com)

 

Siete ancora scettici e magari anche un tantino schifati? Facciamo così: immaginate che subito dopo l’intervallo un archeologo entri nelle vostra classe, si infili un paio di guanti e inizi a tirare fuori dal cestino della spazzatura tutto ciò che vi si è accumulato. Ad occhio e croce direi che potrebbe trovare le carte delle merendine confezionate, delle palline di fogli d’alluminio che le vostre mamme hanno utilizzato per avvolgere i panini che loro stesse hanno farcito, sacchetti di carta col nome del panificio o del supermercato dove avete acquistato un pezzo di pizza o una fetta di dolce, tovaglioli sporchi di marmellata o Nutella, succhi di frutta, bottigliette d’acqua e così via…

Ecco, un archeologo, senza nemmeno conoscervi personalmente, saprebbe indovinare, solo frugando tra la spazzatura, i vostri gusti alimentari quando si tratta di fare lo spuntino di mezza mattina. Ma non solo… Utilizzerebbe, in altre parole, questi dati (i rifiuti nel cestino) per sviluppare delle ipotesi: quali merendine industriali hanno più successo, quali sono e dove si trovano i fornai della zona che fanno la pizza più buona, la provenienza di alcuni di voi se uno dei negozi fosse particolarmente distante dalla scuola, quante mamme preferiscono preparare la colazione in casa e cosa utilizzano, quali bevande vanno per la maggiore, quali invece sono completamente assenti e perché, dove vengono prodotte…

 

Con una procedura praticamente identica, gli archeologi interrogano gli oggetti che sono stati rinvenuti in quelle specifiche aree di un sito che gli uomini del passato avevano scelto per accumulare i loro rifiuti. Proprio in questo modo – letteralmente frugando tra la spazzatura degli antichi – gli archeologi hanno fatto luce su aspetti che altrimenti sarebbero rimasti “sepolti” per sempre e che in nessun altro modo avremmo potuto conoscere. Ad esempio si è così scoperto che nei conventi medievali i monaci non sempre si attenevano alle regole alimentari cui erano sottoposti, che nei periodi di prosperità se si rompeva un oggetto, seppur di pregio, si tendeva a buttarlo senza troppi complimenti invece di ripararlo, che alcune colture sono molto più antiche di quanto si pensasse…

La formazione di un butto domestico da Riccardo Merlo, La seconda vita delle cose, Trento 1999

 

E per quanto riguarda gli uomini di oggi? Se i rifiuti degli uomini antichi ci possono raccontare tante storie del passato, è possibile fare altrettanto utilizzando gli scarti degli uomini moderni? In altre parole, secondo voi, cosa succederebbe se a qualcuno venisse in mente di fare, in grande, all’incirca quello che si potrebbe fare col cestino della spazzatura della vostra classe, cioè utilizzare una procedura “archeologica” per far luce su alcuni aspetti della vita quotidiana delle persone?
Forse non ci crederete ma nel 1973 in una cittadina degli Stati Uniti chiamata Tucson, in Arizona a qualcuno è venuto in mente di mettere in atto un esperimento del genere: il Tucson Garbage Project.

 

L’aspetto veramente interessante di questo progetto è che non ci si è limitati a raccogliere la spazzatura dai bidoni di un settore della città e ad analizzare successivamente in laboratorio tutto ciò che vi era contenuto, ma si è provveduto a fare un riscontro tra questi dati e quelli ricavati dalle interviste dirette fatte agli abitanti di Tucson circa i loro consumi. Ebbene, si è potuto così dimostrare la netta discrepanza tra le loro dichiarazioni e l’effettivo consumo testimoniato dai loro rifiuti: se infatti su 100 persone, ben 85 dichiaravano di non bere birra e le restanti 15 di bere non più di 8 lattine a settimana, lo studio diretto dei rifiuti ha dimostrato in maniera incontrovertibile che la realtà era ben diversa…

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Cosa si può dedurre da tutto questo? Ok, fermi! Non intendevo dire che sarebbe lecito dare degli ubriaconi bugiardi agli abitanti di Tucson. Occorre, semmai, fare una riflessione e provare a chiedersi il perché delle cose. Posto che non ci sia niente di sbagliato nel bere birra ogni tanto, ammettere di fare regolarmente consumo di alcolici tende ad essere uno di quei comportamenti che l’opinione comune guarda con un occhio di giudizio e su cui, quindi, le persone tendono a mentire.

È un po’ come se voi andaste pazzi per il gelato e arrivaste a mangiarne tre in un pomeriggio. Una volta tornati a casa, sapendo che la mamma non approverebbe, sono certa che la maggior parte di voi le direbbe che ne ha mangiato solo uno. Quella sarebbe la vostra parola, la vostra testimonianza volontaria, cioè quello che decidereste di far sapere alla mamma. Le lattine di birra ritrovate a Tucson, così come gli incarti dei tre gelati che invece vi siete allegramente pappati, sono invece le prove incontrovertibili – su cui non si può intervenire – di ciò che è realmente successo (nel caso dei gelati contribuirebbe probabilmente anche un funesto mal di pancia!).

 

La stessa cosa succede nel mondo antico, perché anche i signori del passato ogni tanto raccontavano bugie, o meglio, diciamo che non raccontavano tutta la verità o ne fornivano una versione imprecisa e distorta. Le motivazioni potevano essere delle più disparate (dalla precisa volontà di scrivere notizie false, ad un errore dato da una cattiva memoria), ma il risultato è che talora alcune delle testimonianze scritte che sono arrivate fino a noi non possono essere considerate completamente attendibili.

E così capita talvolta che fonti scritte alle quali abbiamo ciecamente creduto per secoli, finiscano per scontrarsi con la concretezza del rinvenimento archeologico. Insomma, a volte agli archeologi capita la possibilità di dare dei bugiardi (o smemorati imprecisi se si vuole essere più gentili) agli scrittori antichi!

E voi, se proprio volete farvi delle scorpacciate di gelati, mi raccomando, distruggete ogni traccia e buttate le carte lontano da casa!

 

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