In Danimarca, in una strada al centro di Copenhagen, c’è un posto molto particolare: dall’esterno sembra un negozio ma, a guardarci bene, non è un negozio come tutti gli altri. Per cominciare, ha una vetrina piuttosto originale: infatti vi è appiccicato sopra un adesivo con due trowel incrociate. Inoltre, il locale è aperto solo nei fine settimana, dalle 10 alle 14: un orario decisamente strano per un esercizio commerciale.
In effetti, questo locale assomiglia a un negozio, ma non lo è affatto. Guardando attraverso la vetrina potremmo vedere all’interno alcuni adulti armeggiare intorno a un tavolo con alcuni strani oggetti sopra. Inoltre, durante i weekend, gli adulti accompagnano gruppi di bambini con una pettorina gialla indosso. Quello che sembra un negozio, in realtà è la sede dell’Arkæologisk Værksted, o più semplicemente Laboratorio Archeologico del Museo di Copenhagen. Per saperne di più, abbiamo intervistato Mia Toftdal, curatrice museale e responsabile del laboratorio.
Ciao Mia, ci puoi dire come funziona il Laboratorio Archeologico? Siamo curiosissimi!
Nell’ottobre 2017 il museo di Copenhagen ha aperto le sue porte al nuovo Archaeological Workshop. Il laboratorio ha due funzioni: qui tutti i reperti archeologici vengono inventariati ed è qui che invitiamo le persone “dietro le quinte”, non solo a vedere e a ricevere informazioni sugli oggetti, ma anche a prendere parte alla loro inventariazione e, attraverso di essi, a conoscere meglio l’archeologia e le sue varie metodologie.
Un pubblico privilegiato per l’Archaeological Workshop sono i bambini della scuola materna. Secondo la nostra esperienza, gli incontri tra questi bambini e i reperti archeologici stimolano un approccio diretto e adeguato alla storia: esercita un potere veramente speciale verso i bambini.
Come e perché avete pensato a questo tipo di attività?
Le attività legate alla partecipazione pubblica sono spesso state avviate in connessione con le mostre organizzate al museo; facendo tesoro di queste esperienze, con l’Archaeological Workshop abbiamo quindi fatto un ulteriore passo in avanti, ispirato dalla teoria della public archaeology.
L’idea è quella di esplorare il potenziale educativo dell’approccio diretto ai metodi e ai reperti archeologici. In questo, l’interazione con gli oggetti è centrale. I bambini devono avere la possibilità di prendere in mano e sentire gli oggetti. Allo stesso tempo, permettiamo ai bambini di interpretare il ruolo degli archeologi.
Qui in Danimarca non ci sono limitazioni specifiche legate alla manipolazione dei reperti da parte dei non-specialisti e dei bambini. Naturalmente, noi diciamo alle persone di stare attente e di tenere in mano gli oggetti con cautela. Poi, ovviamente, durante questi laboratori, non utilizziamo i reperti più fragili. Ma a quest’ultimi dobbiamo fare attenzione anche noi archeologi quando il pubblico non è presente.
Perché pensi che questa attività sia importante per i bambini della scuola materna?
L’interazione con i reperti autentici è centrale. Come detto, i bambini devono essere in grado di tenere in mano e sentire gli oggetti. Per fargli recitare il ruolo degli archeologi, li forniamo di pettorine, guanti, lenti d’ingrandimento e sacchetti per i reperti adatti a loro. Abbiamo scelto di mostrare loro quei reperti che possono identificare facilmente in quanto fanno parte anche della loro esperienza di vita quotidiana. Per esempio, un frammento di ceramica da un piatto, una suola di una scarpa, cucchiai metallici o chiavi.
Noi siamo stati sorpresi da quante opportunità ci siano per far interagire i bambini più piccoli con l’archeologia, la storia e i beni culturali in generale. Naturalmente, non è importante datare accuratamente i reperti e far memorizzare ai bambini uno specifico anno, o fornirgli una conoscenza approfondita dei vari periodi storici di Copenhagen. I bambini hanno scelto e toccato i reperti, ne hanno ipotizzato l’uso, hanno fatto domande e hanno messo in moto la loro curiosità verso l’archeologia, interagendo con i loro accompagnatori e con i loro compagni. Hanno collaborato e discusso. Sono stati affascinati dal notare come vivevano le persone nel passato, e di questo ora hanno maggiore consapevolezza. In questa esperienza abbiamo sperimentato come i bambini siano stati stimolati dall’archeologia e solo secondariamente abbiano appreso qualche concetto di archeologia.
Quali sono i problemi più grandi per il personale del museo che guida questa attività?
Credo che “il problema” più grande sia solo se ai bambini questo tipo di approccio piaccia o meno e se possa essere utile per la loro formazione. E forse anche se siano in grado di maneggiare i reperti archeologici; ma devo dire che sono quasi più cauti del personale del museo! Sanno come essere cauti, è sufficiente dirgli di fare attenzione.
Hai qualche aneddoto simpatico da raccontarci che possa descrivere questa attività, o i suoi effetti?
Nel periodo successivo all’attività al museo, gli adulti hanno osservato come i bambini facessero rientrare l’archeologia nei loro giochi nel tempo trascorso alla scuola materna. Per esempio, una volta un genitore vide un gruppo di bambini nell’area giochi che stavano facendo finta di cercare dei leoni. A un certo punto, invece di cercare i leoni iniziarono a cercare le ossa dei leoni.
Un altro gruppo di bambini costruì una macchina del tempo e la seppellì per farla ritrovare agli archeologi del futuro. Ma già il giorno seguente andarono a vedere se gli archeologi fossero già arrivati.
Grazie mille per aver rilasciato questa intervista ad Archeokids! Mange tak, Mia!
L’Arkæologisk Værksted è l’unico laboratorio archeologico in Danimarca con orari di apertura fissi.
Sabato e domenica: 10-14
Info: cphmuseum.kk.dk/artikel/arkaeologisk-vaerksted
C’era una volta un bambino di nome Francesco che, dopo aver trascorso infanzia e adolescenza visitando siti greci e romani nel Mediterraneo, sa che diventerà archeologo. Si iscrive all’università di Siena convinto di studiare le antichità classiche ma ben presto capisce non c’è cosa più bella di condividere e vivere l’archeologia e le sue storie con tutti, bambini compresi. E continua a farlo anche dopo aver terminato il suo dottorato in archeologia pubblica.
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