Ieri era San Valentino. Eh già. Cioccolatini, fiori e cuoricini ovunque, gli innamorati che si esibiscono in espressioni adoranti e frasi smielate da un lato, i singles che si dividono tra quelli che “a me non importa niente di queste stupide feste (sgrunt)” e quelli che “me tapino, me derelitto, nessuno mi ama né mi amerà mai, resterò solo per sempre (sigh)!”.
Poco importa che voi siate un Charlie Brown in attesa di un biglietto d’auguri, magari da parte della bambina dai capelli rossi o uno Schroeder più innamorato del suo pianoforte che della povera Lucy che tenta invano di attrarre la sua attenzione: in onore della ricorrenza mi è sembrato carino provare a pensare se sia possibile – ed eventualmente in cosa – individuare testimonianze archeologiche dei sentimenti degli uomini e delle donne del passato.
Vi abbiamo raccontato mille volte di come il mestiere dell’archeologo sia quello di trovare le tracce materiali della vita degli antichi; vi abbiamo mostrato dove abitavano, cosa costruivano, cosa usavano per mangiare e per trasportare il cibo. “Certo, facile” direte voi, perché ognuno di questi aspetti ha lasciato qualcosa di tangibile, qualcosa di concreto che ha resistito al tempo e che noi ancora oggi possiamo toccare con mano. Ma allora, dal momento che i sentimenti – concorderete con me- sono quanto di più impalpabile esista, dobbiamo altrettanto facilmente credere che non sia possibile pensare che possano aver attraversato secoli e secoli di Storia? Insomma, secondo voi, l’amore, il bene, l’affetto (e ovviamente i loro contrari) possono avere lasciato qualche traccia?
Guardate qui…
Non vi impressionate, vero? Ecco, ve li presento: loro sono gli amanti di Valdaro. Non so dirvi i loro nomi, ma posso dirvi che si tratta di un uomo e di una donna che sono stati sepolti insieme, poggiati su un fianco e abbracciati (anche le gambe sono incrociate tra loro, se ci fate caso). Sono così da 6000 anni, sfido chiunque a dire che non si amassero!
E cosa mi dite di questi altri due?
Loro stanno insieme da un po’ meno tempo, diciamo 2600 anni che in termini di anniversari di nozze non saprei esattamente e a cosa corrispondano. Insomma, dei pivellini in confronto… Ma anche loro hanno deciso, in qualche modo, di restare insieme per l’eternità facendosi raffigurare in questa posa da banchetto (che per gli Etruschi era uno dei massimi momenti di godimento della vita), vicini e felici.
Avrete già capito da questi primi due esempi che buona parte delle testimonianze legate ai sentimenti hanno in qualche modo a che fare con la morte. Paradossalmente, o forse sarebbe più giusto dire “romanticamente”, scelte di questo tipo non facevano altro che dare forma concreta al desiderio che accomuna tutti gli innamorati di qualsiasi tempo: stare insieme per sempre. Non è cambiato poi molto!
Scelte. E come per ogni scelta c’è il rischio che la volontà di autocelebrarsi secondo certi standard possa prevalere sulla spontaneità del gesto. E, beh, quando si tratta di emozioni è proprio di forze che hanno a che fare con naturalezza e istinto che si sta parlando. Ecco perché ho scelto di proseguire questa carrellata di esempi portandovi a Pompei.
Il sito non solo è famosissimo, ma si presta bene allo scopo sia perché ci fornisce uno spaccato perfetto della vita (anche sentimentale) degli antichi Romani, sia perché la sua fine, la fine dei suoi abitanti colti nella loro quotidianità dall’eruzione del Vesuvio, ci ha fornito una serie di testimonianze che, seppur nella drammaticità dell’evento, hanno reso certi legami tangibili ed eterni.
Proprio come accade ai muri delle nostre città, anche i muri di Pompei erano particolarmente apprezzati da coloro che volevano, diciamo così, “lanciare dei messaggi”: si va dall’esortazione a votare per un certo politico, alle ingiurie più infamanti e cariche di odio, dalle volgarità più spinte ai messaggi d’amore più sublimi. Una di queste recitava: “Gli amanti sono come le api: vivono la loro vita nel miele”. Oppure: “Se qualcuno non ha visto la Venere di Apelle [una famosa opera d’arte dei tempi n.d.r.] guardi la mia ragazza. Risplende come lei”. E ancora: “Mentre scrivo è Amore a dettarmi e Cupido mi regge la mano: che io muoia se voglio essere un dio senza di te”.
Fa impressione immaginare la fine che possono aver fatto alcuni degli autori di questi graffiti se hanno avuto il malaugurato destino di trovarsi a Pompei quel famoso giorno del 79 dopo Cristo. E fa ancora più impressione quando per alcuni di loro puoi avere il fermo immagine del loro ultimo momento di vita.
In molti pensano che, a seguito dell’eruzione, i corpi della vittime si siano “pietrificati” per via di un qualche strano processo naturale legato all’evento. Ovviamente non è così: i calchi come quelli della foto oggi in nostro possesso sono stati ottenuti dagli scavatori di Pompei tramite l’utilizzo di una tecnica particolare che prevedeva di colare del gesso liquido nelle cavità prodotte dalla decomposizione dei corpi sepolti in strati di cenere induritasi subito dopo il seppellimento della città.
Ed è in alcune di quelle pose, così emozionanti seppur colme di tragedia, che puoi immaginare, anzi, ti sembra quasi di poter toccare, ciò che quegli uomini, quelle donne, quei bambini, persino quei cani, hanno provato un attimo prima di morire. E sono piuttosto convinta che negli istanti drammatici, la paura della fine tenda sempre ad indirizzare il pensiero verso qualcosa di bello, verso ciò a cui si tiene di più al mondo.
Immagino sia così: si muore soli, nel vano tentativo di fuggire o di tornare a casa da chi si ama.
Si muore insieme, vicini, quasi abbracciati alla propria moglie, alla figlia, in un ultimo gesto di protezione.
Si muore tenendo in braccio il proprio bambino con la speranza negli occhi di vederlo diventare grande.
Ma si muore anche così: col guinzaglio al collo, impauriti e magari cercando il proprio padrone. Chissà se è lo stesso padrone che qualche tempo prima aveva perso il suo Rex e lasciava anche lui messaggi di ricompense a chiunque glielo avesse riportato sui muri della città.
Eh sì, anche questo è amore…
8 anni. Prima lezione di Storia. Una maestra speciale che m’incanta parlando della fine di Pompei e degli scavi che l’hanno riportata alla luce insieme alle storie dei suoi antichi abitanti. Quel giorno ho deciso che da grande avrei fatto l’archeologa.
E forse è per via di questo inizio che ancora mi trovo divisa tra la passione del fare ricerca sporcandomi le mani di terra e la consapevolezza che raccontare il nostro mestiere, soprattutto ai più piccoli, lo possa caricare di senso e di futuro.
Comment here